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Caserta – “Passerò ancora un altro Natale senza mia figlia Tiziana, ma ho la consapevolezza che la sua morte è servita a smuovere le coscienze. E spero che ciò che non è stato fatto prima, a livello di indagini, venga fatto adesso”.

C’è una nota di soddisfazione, tra tanto dolore, nelle parole di Teresa Giglio, madre di Tiziana Cantone, la 31enne morta il 13 settembre 2016 – si sarebbe suicidata – dopo che alcuni video hot che la ritraevano era stati diffusi su internet a sua insaputa. Da qualche tempo la Giglio spera concretamente che venga riscritta la storia della morte della figlia, conclusasi nel dicembre 2017 con l’archiviazione dell’indagine della Procura di Napoli Nord per istigazione al suicidio. Per ora, dall’ufficio inquirente diretto da Francesco Greco, la Giglio ha ottenuto l’apertura di una nuova indagine che dovrà far luce sulla correttezza nell’attività di estrapolazione dei dati contenuti nell’Iphone e nell’Ipad di Tiziana, sequestrati dopo il fatto dai carabinieri, che poi li hanno anche analizzati in qualità di polizia giudiziaria.

Determinanti le indagini difensive realizzate dal gruppo americano Emme-Team (un network che raggruppa decine di studi legali degli USA e in UE, che si occupano di revenge porn) di cui fa parte il difensore della Giglio, Salvatore Pettirossi; gli accertamenti hanno portato la Procura – sostituto Giovanni Corona – ad aprire una fascicolo per frode processuale, perché, secondo l’esposto presentato dalla difesa, i dati negli apparecchi di Tiziana non sarebbero stati estrapolati correttamente dalla polizia giudiziaria, con cancellazione definitiva di memoria e inserimento successivo di alcune fotografie.
Ma ciò cui la Giglio tiene di più, è conoscere la verità sulla morte della figlia, sul cui suicidio ha sempre nutrito dubbi; dalla Procura ha trovato per adesso un’apertura di credito, che dovrà superare la prova della rilevanza degli elementi che la difesa riuscirà a produrre.

Tutto si gioca sulla pashmina che Tiziana avrebbe usato per impiccarsi, ma anche su altre circostanze che potrebbero sembrare poco importanti, come quella della catenina d’oro rosso con la medaglietta con l’effige di Gesù che Tiziana indossava sempre e che non si è mai trovata. Per il medico-legale che fece un esame esterno del corpo senza procedere all’autopsia, Tiziana si sarebbe senza dubbio suicidata, mentre per Pettirossi e il team di investigatori americano, quella pashmina non sarebbe stata in grado di produrre una forte stretta, compatibile con il solco di 2,5 centimetri trovato sul collo di Tiziana. Nei mesi scorsi lo staff di difesa si è rivolto a un biologo forense, che ha confermato come i segni sulla pelle della ragazza non sarebbero compatibili con il tipo di foulard usato. Pettirossi è poi riuscito ad ottenere a novembre il dissequestro della pashmina, che è stata inviata al medico-legale, che dovrà trovare eventuali tracce biologiche; nei prossimi giorni potrebbero arrivare i risultati, che saranno consegnati alla Procura di Napoli Nord, che a quel punto valuterà se riaprire l’indagine anche sul fronte della causa della morte, ipotizzando scenari ancora più tragici di quelli emersi inizialmente.

“Ciò che mi ha fatto andare avanti – dice la Giglio – è l’amore per mia figlia e la rabbia per come sono state fatte le indagini subito dopo la morte; c’è stata molta leggerezza nel classificare subito il decesso come un suicidio. Mia cognata, che accorse per prima sul posto, riuscì a sfilare con una mano la sciarpa dal collo di Tiziana, segno che la stretta non era forte. Eppure nessuno ha pensato a prelevare tracce biologiche né a fare un’autopsia. Non sono mai stata convinta che mia figlia si sia uccisa. Ciò che trovo poi molto grave – prosegue la Giglio – è la non corretta procedura di estrapolazione dei dati contenuti negli apparecchi di mia figlia, avvenuta per giunta mentre gli apparecchi erano nelle mani degli inquirenti”.

La Giglio, dopo la morte di Tiziana, si è battuta non solo per modificare la verità processuale emersa dopo quel 13 settembre 2016, ma anche per garantire alla figlia e a tutte le persone, donne e uomini, messe alla gogna via social, il diritto al rispetto e la presa di responsabilità da parte dei colossi del web. Grazie alla battaglia della Giglio è stata emanata la legge sul “revenge porn”, e per due volte, la Giglio ha battuto in giudizio Facebook perché rimuovesse i video di Tiziana.

“Quei video non dovrebbero essere più in rete – dice – ma la battaglia contro i colossi del web non è facile da vincere e il diritto all’oblio è un’utopia. Si dovrebbero muovere con decisione le istituzioni, e agire anche sui siti asiatici, per i quali invece non c’è alcun controllo. Qualcosa però sta cambiando; da ciò che sento, sembra si stia andando verso un riconoscimento di responsabilità in capo a questi colossi per le cose che pubblicano. Sarebbe ora. Per quanto mi riguarda, non mi riprenderò mai dalla morte di Tiziana, ma almeno ho dato un senso alla mia rabbia e alla sua morte. Ricordo che proprio Tiziana, con le sue tre denunce presentate prima di morire, ha iniziato questa battaglia, nonostante si sentisse sola e abbandonata” aggiunge la Giglio, che evita questa volta di citare l’ex fidanzato della figlia, quel Sergio Di Palo che era con Tiziana nell’ultimo tragico periodo della sua vita ed è ora sotto processo a Napoli per calunnia nei confronti di quattro persone che avrebbero diffuso i video e accesso abusivo a sistemi informatici. “Mi ha chiesto i danni” si limita a dire la Giglio, che più volte ha accusato di Paolo di essere il responsabile della morte della figlia.

Il senso di quanto realizzato dalla Giglio dal 2016 in poi, è comunque nei numeri delle ragazze salvate dalla gogna social, che potevano fare la fine di Tiziana. Il legale della Giglio, insieme all’Emmeteam, sta aiutando parecchie giovani vittime di revenge porn. “Sono 500 – dice Pettirossi – la ragazze salvate da inizio anno”.