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Hanno riconvertito la propria produzione o hanno adeguato alcune linee produttive alle nuove esigenze imposte dall’emergenza Coronavirus: sono tre aziende del Casertano – qualcun’altra si sta muovendo e attrezzando – che da qualche giorno hanno messo la propria produzione a disposizione della crisi, producendo mascherine e igienizzanti per i cittadini ma anche e soprattutto per alcune categorie esposte ma poco protette, come le forze dell’ordine.

A Caserta il Consorzio Rete San Leucio Textile, che di solito produce tessuti di seta alta qualità, sta collaborando da circa una settimana con la cooperativa New Hope di Suor Rita Giarretta, struttura che ospita donne che vengono da un passato di violenza e sfruttamento sessuale, che come sarte confezionano mascherine.

“Sono bravissime e riescono a realizzarne 500 al giorno” spiega Gustavo Ascione, del Consorzio Rete San Leucio. “Le mascherine, certificate dal punto di vista normativo, sono fatte con un tessuto messo a disposizione da uno dei nostri soci e che è in cotone al 100% – prosegue –  lavabile e impermeabile in quanto sottoposto allo stesso trattamento degli abiti sportivi; i dispostivi sono riutilizzabili fino a 5-10 volte”.

Le mascherine sono state già consegnate a cittadini e alle carceri del Casertano, ovviamente gratuitamente, e andranno anche ad altre categorie di lavoratori, anche sanitari. “Abbiamo richieste da tutto il Mondo – spiega Ascione – anche dai grossisti, cui però diciamo di no, in quanto preferiamo darle a chi ha davvero bisogno. Inoltre abbiamo avviato uno studio con l’Università Vanvitelli per capire se il nostro tessuto può essere utilizzato anche per realizzare tute protettive”.

La politica è di venderle a prezzo di costo solo a soggetti forti economicamente, come le aziende che continuano a lavorare.

In provincia, a Dragoni, c’è la lavanderia industriale “Golden Laundry” dell’imprenditore Giovanni Lavornia, con oltre 40 dipendenti, trentuno dei quali messi in cassa integrazione ordinaria; di solita lavora con cliniche private, industrie, strutture turistico-alberghiero (settore attualmente fermo), e confeziona e noleggia abiti da lavoro, ma da qualche giorno ha riconvertito il reparto destinato alla manutenzione tessile e, utilizzando tutti i tessuti disponibili in magazzino, ha iniziato a produrre mascherine. “Ne riusciamo a realizzare 500 al giorno, lavabili – spiega Lavornia – ma non per uso chirurgico; per quello servono speciali autorizzazioni. Abbiamo inviato campione di tessuto in laboratorio affinchè ne convalidi l’utilizzo in modo che potremo iniziarne una produzione industriale e darle anche ai medici che non vanno in sala operatoria. Finora le abbiamo donate ai cittadini di Dragoni, ma sono arrivate richieste da ogni parte Italia, l’ultima dalle Marche.

A non molti chilometri di distanza, a Sessa Aurunca, c’è la Boston Tapes, stabilimento facente parte di gruppo multinazionale francese, in cui si produce film plastico protettivo, nastri tecnici (un tipo di nastro isolante) usati nel settore del food e del confezionamento delle acque. Da pochi giorni l’azienda, che non ha mai fermato la produzione, ha iniziato a produrre alcol disinfettante, adeguandosi all’emergenza. “Non abbiamo riconvertito alcun reparto, ma abbiamo iniziato a realizzare il disinfettante nel nostro laboratorio prima di tutto per le esigenze dei lavoratori” spiega l’amministratore delegato Cristiano Paduano, che è anche responsabile del gruppo per l’Europa, l’Africa e il Medio-Oriente. In poco più di 48 ore il liquido igienizzante, che ovviamente, seppur garantito, non ha le caratteristiche dei prodotti certificati a livello ministeriale, è stato però prelevato soprattutto dalle forze dell’ordine, che stanno svolgendo controlli in strada ancora più assidui del normale, ma con pochi dispositivi di protezione. “Soprattutto i carabinieri sono venuti a prendersi confezioni di alcol” dice Paduano. Il nastro tecnico è invece stato consegnato in particolare agli operatori del 118, quelli che vanno nelle abitazioni a fare il tampone per accertare la presenza del Covid-19. “A questi lavoratori – spiega Paduano – il nastro serve per sigillare lo spazio libero sulla pelle tra i guanti e la tuta, per tutelare al massimo la propria incolumità”.