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Caserta – A dispetto di arresti e pentimenti eccellenti, le indagini sui clan casertani, nel secondo semestre del 2016, hanno confermato il pressante controllo del territorio da parte di queste organizzazioni criminali, il cui radicamento è talmente profondo da rendere ormai superfluo il ricorso ad azioni violente per affermare la loro presenza. Lo afferma la Direzione Investigativa Antimafia (Dia) nella relazione pubblicata sul sito del Senato in cui evidenzia che “tra gli effetti di questa indiscussa potestà criminale si annoverano l’assenza di qualsiasi iniziativa da parte di soggetti estranei alle storiche compagini camorristiche di costituire nuovi gruppi e la durevole propensione a riciclare denaro, ad infiltrarsi negli appalti pubblici, a gestire il gioco d’azzardo, l’usura e le estorsioni”. Dunque,  come emerso anche nella relazione relativa al primo semestre 2016,  la criminalità casertana è soprattutto una criminalità economica gestita da colletti bianchi con la complicità di pezzi delle istituzioni; sono oltre 20 i sindaci e altri amministratori del Casertano arrestati per collusioni con la camorra nell’ultimo anno e mezzo. In tale contesto i clan storici, ovvero le cosche federate nei Casalesi, e ancora i Belforte di Marcianise, gli Esposito di Sessa Aurunca e i La Torre-Fragnoli-Gagliardi sul litorale, continuano a spartirsi gli affari illeciti senza che nel frattempo nascano nuovi gruppi, come accade a Napoli. Al massimo i vecchi clan si riciclano attraverso anziani affiliati o giovani leve, spesso figli o parenti dei boss in carcere. Solo nella parte di litorale casertano vicina alla provincia napoletana, in particolare nel comune di Castel Volturno, il ridimensionamento del clan Bidognetti, da sempre famiglia portante dei Casalesi,  sta facendo emergere la criminalità straniera, soprattutto nigeriana, che in pratica già gestisce su parte della riviera domizia i racket dello spaccio di droga e della prostituzione. In ogni caso, spiega la Dia, “i sequestri di beni per svariati milioni di euro danno ulteriore conferma del potere economico raggiunto dai gruppi casertani, spesso con la complicità di esponenti delle Istituzioni”. Le attività illecite spaziano dalle estorsioni al gioco d’azzardo e all’infiltrazione nel settore agroalimentare, attraverso l’imposizione di beni o merci, quale ulteriore modalità estorsiva e di controllo del territorio. Così  il riciclaggio di capitali, “che in passato avveniva principalmente nel campo dell’edilizia, del ciclo degli inerti e nella ristorazione, appare sempre più orientato verso la grande distribuzione alimentare, l’immobiliare, la logistica e i trasporti, l’import-export e l’intrattenimento (slot machines)”. Sul piano delle relazioni esterne, la Dia rileva come “la componente imprenditoriale di alcuni gruppi locali, primi fra tutti i Casalesi, si sia progressivamente affermata rispetto alla precedente strategia militare, ricorrendo sempre più spesso al metodo corruttivo e alla cooptazione di amministratori nei sodalizi”. Si tratta di quello che gli stessi investigatori definiscono “Il metodo Zagaria”, dal nome del boss dei Casalesi, Michele Zagaria, che ha maggiormente rappresentato il profilo imprenditoriale del clan, ponendosi a capo di un sistema in grado di gestire gli appalti pubblici banditi da qualsiasi ente, dalla Regione ai Comuni, facendoli aggiudicare alle proprie imprese di riferimento. “Proprio i Casalesi – ricorda la relazione – sono stati al centro di importanti misure ablative eseguite dalla D.I.A. di Napoli negli ultimi giorni del mese di settembre, tra i comuni casertani di Teverola, Aversa, e quello laziale di Santi Cosma e Damiano (Latina), dove è stata eseguita la confisca di diversi compendi aziendali, di alcuni immobili e di disponibilità finanziarie, per un valore complessivo di circa 11 milioni di euro, nella disponibilità di un imprenditore edile organico al clan, ritenuto uomo chiave nel fornire appoggio logistico agli affiliati, nascondere armi, riscuotere il frutto delle estorsioni e reinvestire i proventi illeciti del sodalizio criminale. Il successivo 30 settembre, a Casal di Principe è stata, invece, eseguita la confisca del patrimonio, per un valore di oltre 13 milioni di euro, nella disponibilità di un fiancheggiatore del menzionato clan dei e indicato quale faccendiere politico-imprenditoriale del sodalizio, nonché già responsabile del locale Ufficio Tecnico comunale”. La Dia punta l’attenzione sul fatto che il territorio continui ad essere scenario di episodi di corruzione a carico, tra gli altri, di amministratori pubblici di alcuni Comuni, anche dell’alto casertano, zona che fino a qualche anno fa sembrava lontano dagli appetiti della criminalità organizzata.  Sempre a settembre 2016 un’indagine dei Carabinieri e dalla Guardia di Finanza, che ha coinvolto il presidente della Provincia Angelo Di Costanzo, imprenditori, sindaci e funzionari provinciali e comunali, “ha fatto luce su un’associazione per delinquere che, attraverso meccanismi corruttivi, pilotava le gare d’appalto per l’affidamento del servizio d’igiene urbana, nonché altre commesse pubbliche relative al delicato settore del ciclo integrato dei rifiuti, nei Comuni di Alvignano, Piedimonte Matese e Casagiove. Analoghe condotte delittuose sono state contestate ad appartenenti al mondo politico amministrativo del comune di San Felice a Cancello, che si erano adoperati per l’affidamento ad imprenditori di riferimento di commesse pubbliche e permessi di costruire”.