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“Su indicazione di Giuseppe Setola mi rivolsi nell’estate 2006 al dottore oculista Aldo Fronterrè, cui chiesi di fare una consulenza medica al mio assistito affinchè ne dichiarasse lo stato di incompatibilità con il carcere. Lui accettò, e fece ciò che avevamo stabilito, così Setola riuscì ad avere i domiciliari da cui poi è evaso”. Lo ha raccontato oggi al tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) Girolamo Casella, ex avvocato del boss dei Casalesi Giuseppe Setola, condannato definitivamente dalla Cassazione, nel febbraio scorso, a 11 anni di carcere per associazione mafiosa perché oltre a rappresentare in giudizio il killer, ha svolto negli anni per conto di quest’ultimo anche le funzioni di messaggero all’esterno, tanto da essere ritenuto al servizio dei clan Casella, che ha iniziato a rendere dichiarazioni ai magistrati della DDA di Napoli ma non è ancora entrato nel programma di protezione, è stato sentito oggi come testimone nel processo in cui sono imputati il capo dell’ala stragista dei Casalesi, che risponde di simulazione di reato, e l’oculista di Pavia Aldo Fronterrè, cui sono contestati i reati di concorso esterno in associazione camorristica e false attestazioni all’autorità giudiziaria.

Per l’accusa – oggi in aula c’erano il sostituto della DDA di Napoli Sandro D’Alessio e l’ex pm antimafia, oggi aggiunto proprio a Santa Maria, Alessandro Milita –  Fronterrè avrebbe presentato false attestazioni mediche permettendo a Setola, nel gennaio 2008, di ottenere gli arresti domiciliari in un’abitazione nei pressi della clinica Maugeri di Pavia dove si sarebbe dovuto curare; il 18 aprile dello stesso anno, però, Setola evase dalla clinica, dando inizio alla stagione del terrore nel Casertano che causò 18 morti, tra cui i sei immigrati africani uccisi nella strage di Castel Volturno. Sotto accusa, in particolare, la consulenza che Fronterrè firmò nel febbraio 2007, in cui dichiarò Setola incompatibile con il carcere, in quanto riscontrò al killer – falsamente secondo l’accusa – un grave problema grave all’occhio destro, nonostante tutti gli accertamenti medici precedenti avessero evidenziato che Setola soffriva di un foro maculare all’occhio sinistro per un evento traumatico subito in giovane età. 

Casella racconta di essersi recato allo studio milanese di Fronterrè, nei mesi che precedettero la relazione, in due circostanze, il 29 agosto e il 14 settembre 2006. “Con me – riferisce l’ex legale – venne anche Massimo Alfiero, molto vicino a Setola. Gli portammo tutta la documentazione, comprese le perizie ordinate dal tribunale e le consulenze di parte, qualcuna favorevole, altre sfavorevoli a Setola. Ricordo che nessuna espressamente dichiarava il Setola incompatibile con il carcere. Dopo aver letto le carte e accettato l’incarico, per le cui spese Alfiero disse che avrebbe provveduto lui a nome di Setola, Fronterrè mi spiegò che avrebbe fatto la consulenza in modo da dichiarare l’incompatibilità carceraria di Setola, così come da noi richiesto. Sul fatto che Setola fosse un camorrista già condannato per reati gravi, Fronterrè disse che erano cose che non gli interessavano. Peraltro Setola mi disse che Fronterrè aveva operato e dichiarato incompatibile con il carcere anche Enrico Martinelli (altro boss dei casalesi condannato, ndr)”.

Lo stesso Fronterrè (difeso da Pasquale Coppola), è emerso, dopo poche settimane, a fine 2006, fece ricoverare Setola per 15 giorni alla clinica “Città di Milano” per “i necessari accertamenti all’occhio”; quindi nel febbraio 2007 firmò la relazione che dichiarava Setola incompatibile con il carcere. Da allora i legali dei Setola, tra cui Alfonso Martucci, deceduto, e lo stesso Casella, si diedero da fare per far ottenere i domiciliari al killer; nei mesi successivi presentarono quattro istanze alle varie Corti competenti per decidere sulle esigenze cautelari relative a Setola; tutte diedero disco verde, l’ultima fu la Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere, che il 18 gennaio 2008 concesse a Setola i domiciliari a Pavia, nei pressi della clinica Maugeri, dove il boss si sarebbe dovuto curare, e dove in effetti evase tre mesi dopo. Quando fu arrestato dopo un anno di latitanza, nel gennaio 2009, Casella contattò di nuovo Fronterrè per ripetere la stessa procedura. “Accettò – ha spiegato Casella – ma ci chiese 50mila euro, visto che la volta precedente lamentava di non essere stato più pagato”.