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Avrebbe assunto la reggenza “economica” del clan dopo l’arresto del marito boss, pagando la retta si carcerati e garantendo così la sopravvivenza della cosca. E’ l’accusa contestata alla 48enne Franca Cotugno, arrestata dai carabinieri a San Vittore del Lazio (Frosinone) su ordine del Gip del Tribunale di Napoli, nell’ambito di un’indagine della Direzione distrettuale antimafia partenopea. La Cotugno, che risponde di associazione a delinquere di stampo mafioso, è la moglie del 42enne Massimo Perrone, arrestato nel giugno 2017 in quanto ritenuto uno dei capi della cosiddetta “Nuova gerarchia Casalese”, gruppo di camorristi legati al clan guidato da Francesco Bidognetti, una sorta di neo-bidogniettiani mai staccatisi dalla cosca di origine, e facenti capo a Michele Bidognetti, fratello del capoclan; tra i componenti anche numerosi ragazzi vogliosi di fare carriera nel crimine organizzato. In tale contesto si inserisce la figura della Cotugno, tipica donna di camorra, che appena il giorno dopo l’arresto del marito prende subito in mano la cassa del clan; i carabinieri del Reparto Territoriale di Aversa che hanno realizzato le indagini, non hanno trovato soldi o libri contabili, ma ipotizzano che la 48enne avesse a disposizione cifre importanti.

Ogni mese, è emerso, la donna, dalla sua abitazione di Giugliano in Campania (Napoli), elargiva somme tra i 600 e 1000 euro ai familiari degli altri affiliati, molti dei quali in carcere. In tal modo, sostengono gli inquirenti, si sarebbe assicurata due risultati; da un lato la sopravvivenza del clan, a dispetto degli arresti eseguiti negli ultimi mesi, dall’altro il “silenzio” degli altri affiliati, che magari potevano essere tentati dal collaborare con la giustizia. Cotugno e il marito sono stati intercettati durante i colloqui in carcere; è emerso che Perrone ha dato varie indicazioni alla moglie sui pagamenti da effettuare, e probabilmente ha indicato anche imprenditori sotto estorsione da cui riscuotere il pizzo, sebbene su tale circostanza gli inquirenti preferiscano tacere. La Cotugno è finita nel carcere romano di Rebibbia. Per la Dda, la “Nuova gerarchia Casalese”, sarebbe è attiva nei comuni napoletani di Giugliano, Sant’Antimo, in quelli casertani di Parete, Mondragone, Casal di Principe, con interessi anche anche a Minturno (Latina). Prima dell’operazione di giugno che ha portato all’arresto di cinque esponenti della cosca, il gruppo si sarebbe reso responsabile di numerose estorsioni e di almeno tre attentati con bombe carta commessi ai danni di un imprenditore edile di Parete e delle due sedi di Giugliano e Parete dell’agenzia di pompe funebri dell’imprenditore Luciano Russo, colui che ad inizio anni ’90 fece scoppiare con le sue denunce il caso del cosiddetto “caro estinto”, che portò all’arresto e alla condanna di esponenti di spicco dei Casalesi, tra cui l’allora capozona Domenico Feliciello e il capoclan Francesco Bidognetti.