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Definì un giovane cronista “pseudo-giornalista” e “portavoce della Procura” nel corso di un intervista resa ad un sito. Il boss della camorra casertana Augusto La Torre è comparso questa mattina al tribunale di Napoli per difendersi dall’accusa di diffamazione aggravata contestata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli sulla base della querela presentata dal cronista, il 31enne Giuseppe Tallino di Cronache di Caserta (difeso da Francesco Parente); non è stata però contestata l’aggravante mafiosa. La Torre, detenuto dal 1996, si è presentato in aula con un cappotto color cammello, accompagnato da tre poliziotti dei Reparti speciali della Penitenziaria; recluso a Campobasso, avrebbe potuto, come tanti altri camorristi, collegarsi in video-conferenza, ma ha voluto essere presente.

Il suo legale ha chiesto poi che il processo si svolgesse a porte chiuse “per la sicurezza del mio assistito e della parte offesa”, e il giudice monocratico Roberta Attena ha accettato; il legale del boss ha inoltre sollevato eccezione di incompetenza territoriale chiedendo al giudice di disporre lo spostamento del processo ad Ivrea, in quanto l‘intervista fu resa da La Torre proprio nel carcere piemontese, o in subordine a Santa Maria Capua Vetere, dove è stata presentata la denuncia.

Il giudice ha poi disposto la costituzione di parte civile per Tallino e il suo giornale Cronache di Caserta; il cronista è tuttora sottoposto a vigilanza dinamica da parte della Polizia di Stato. La Torre, noto come il boss psicologo per aver conseguito in carcere la laurea in psicologia, nel corso dell’intervista incriminata, resa a giugno 2018, non se la prese solo con il cronista che con coraggio di stava occupando di lui, ma anche con i pm accusati di accanimento investigativo nei suoi confronti e di mala gestione dei pentiti a suo danno; in particolare accusò il sostituto della Dda di Napoli Sandro D’Alessio, responsabile di molte indagini sul clan La Torre di Mondragone. Un’intervista in cui La Torre sfogò tutta la sua frustrazione legata soprattutto al contenzioso sugli anni di carcere da scontare; è cosa nota che il boss stia cercando da tempo di uscire di cella, e ha avviato per questo un contenzioso al Tribunale di Isernia relativo al cumulo di pene.

In passato La Torre ha collaborato con la giustizia, sebbene poi sia stato “scaricato” dall’autorità giudiziaria, che ha definito la sua collaborazione riduttiva, probabilmente perché seppur La Torre si è autoaccusato di una cinquantina di omicidi, non ha mai fornito le indicazioni utili per far trovare il suo tesoro. Proprio la collaborazione ha permesso però al boss di avere sconti di pena e di avere un solo ergastolo, quello inflittogli in primo grado nell’autunno 2019 per la strage di Pescopagano, (avvenne nel 1990 e morirono cinque persone); in virtù di quest’ultima condanna, e proprio per il timore che Augusto La Torre potesse darsi alla fuga prima che divenisse esecutiva la sentenza, approfittando di benefici carcerari, la Dda ha chiesto e ottenuto dieci giorni fa dal Gip di Napoli l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare a carico del boss; un provvedimento che dovrebbe arginare per ora il rischio di uscita dal carcere di La Torre. Qualche giorno fa infine è stato anche condannato per spaccio con l’aggravante mafiosa il figlio del boss, Francesco Tiberio La Torre.