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Caserta – Si è concluso in Corte di Cassazione, con la conferma di quasi tutte le condanne emesse in Appello e due annullamenti con rinvio, il processo relativo alle infiltrazioni del clan Zagaria nell’ospedale di Caserta. Per Elvira Zagaria, sorella del boss Michele Zagaria, i magistrati della Suprema Corte hanno confermato la condanna a sette anni di carcere per associazione camorristica, annullando però la confisca dei beni; pene confermate per l’altro elemento del clan Raffaele Donciglio (sette anni), per l’ex dirigente dell’ospedale di Caserta Bartolomeo Festa (otto anni), per l’ex sindaco di Caserta Giuseppe Gasparin (tre anni e sei mesi), e per altri sette imputati.

I magistrati della Cassazione hanno poi disposto l’annullamento con rinvio, in relazione all’imputazione di associazione camorristica, per gli imputati Domenico Ferraiuolo (difeso da Angelo Raucci), che in secondo grado aveva preso otto anni, e Luigi Iannone (difeso da Giuseppe Stellato), condannato a 7 anni e due mesi in appello.

L’indagine da cui è nato il processo, fu condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e affidata agli investigatori della Dia, e portò a 24 arresti nel gennaio del 2015 tra dirigenti e dipendenti pubblici e imprenditori, e allo scioglimento, tre mesi dopo, dell’azienda ospedaliera di Caserta per infiltrazioni camorristiche, primo caso in Italia. La gestione dell’ospedale fu affidata per due anni ad una triade di commissari di nomina governativa guidati da un prefetto. Le indagini e poi i processi nei vari gradi, hanno svelato la costante e profonda infiltrazione del clan guidato da Michele Zagaria nel tessuto politico-amministrativo dell’ospedale di Caserta, prima attraverso la “rete” di contatti creata e gestita dal cognato Franco Zagaria, poi deceduto, quindi attraverso la sorella Elvira; è così emersa l’esistenza nell’ospedale di “un complesso apparato in grado di gestire gli affidamenti dei lavori pubblici in assoluta autonomia, potendo contare sul potere derivante dalla preminente matrice mafiosa”.

L’organizzazione creata da Zagaria si insediò nel cuore nevralgico dell’ospedale, ovvero nell’ufficio del dirigente dell’unità operativa complessa di Ingegneria ospedaliera, Bartolomeo Festa, in carica dal 2006 per volere, secondo i giudici, dello stesso Zagaria. Da quel momento il cognato del boss assunse, fino al decesso, il controllo delle assegnazione dei lavori pubblici nell’ospedale, dando vita ad un cartello di imprese mafiose; dal canto suo Festa truccava con i suoi collaboratori i bandi per favorire le imprese del clan.