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Caserta – Animi sempre più agitati all’Istituto Tecnico Buonarroti di Caserta dove docenti 700 alunni attendono di sapere da mesi quando e dove riprenderanno le lezioni per l’anno scolastico 2017/18.

Un problema scoppiato a seguito della resa finanziaria dichiarata dalla Provincia di Caserta nel 2015 e che, ha rischiato di lasciare chiuse tutte le scuole casertane gestite dall’Ente.

E se la riapertura delle scuole è stata garantita pochi giorni fa, non accenna a risolversi la questione Buonarroti che, tra sequestri da parte della Magistratura e impossibilità economica di gestione, rimarrà chiusa almeno fino al 31 gennaio 2018.

Intanto oggi gli alunni, le famiglie e i docenti del Buonarroti hanno proclamato lo stato di agitazione all’indomani della soluzione dei doppi turni prospettata dal Tavolo Tecnico della Prefettura in tre scuole di Caserta il Diaz, il Giordani e la succursale dell’Istituto d’Arte di San Leucio, ubicata alla Saint Gobain.

La proposta, dicono i diretti interessati, non ha affatto tenuto conto della provenienza dell’utenza e delle deficienze del trasporto pubblico locale che impedirà di fatto a molti alunni di raggiungere la sede scolastica.

I disagi rimangono e gli studenti preannunciano una manifestazione pacifica per lunedì mattina davanti la Provincia, l’unico ente deputato ad indicare istituti alternativi.

Intanto, nella tarda mattinata di ieri, una delegazione di alunni, genitori e docenti è stata ricevuta in Prefettura dove, dal Vice Prefetto Vittoria Ciaramella e dal Prefetto Vicario Gerlando Iorio e, hanno ricevuto rassicurazione circa la disponibilità a riaprire il tavolo qualora si dovesse prospettare un’altra soluzione che vada incontro alle esigenze degli utenti.

La Delegazione ha chiesto contezza dei tempi non solo per la consegna dell’istituto fissata per il 31 gennaio 2018, ma anche per la ripresa dei lavori, ormai fermi da mesi.

E oggi, con una lunga nota, i docenti dell’Istituto Buonarroti denunciano la pessima lezione di democrazia avuta ieri:

“Ritrovarsi di fronte alle porte chiuse della propria scuola e non sapere nulla sul proprio immediato futuro, mentre per tutti gli altri studenti riprendono le attività del nuovo anno scolastico, significa subire un atto di violenza ed una ferita alla propria dignità di cittadini, tanto più grave se si tratta di adolescenti – scrivono – La vicenda del “Buonarroti” dimostra che questo aspetto non è stato tenuto in alcuna considerazione da chi aveva la responsabilità di trovare soluzioni immediate a quella che si presentava fin dall’inizio, dall’ordinanza di sequestro del magistrato del 9 maggio scorso, come una vera emergenza democratica e non la “normale” chiusura di una scuola causata dall’esigenza di garantire la stabilità dell’edificio.

Non si mette in discussione la necessità di provvedere a lavori di adeguamento per la sicurezza dell’Istituto, ma questo doveva avvenire con ben altra modalità, prevedendo contestualmente alla chiusura le soluzioni alternative e tempi certi per la realizzazione dei lavori.

È vero invece che si è lasciato che quattro mesi trascorressero senza che nemmeno si desse avvio ai lavori, senza che alcuna informazione, chiara e trasparente, fosse data agli utenti e ai lavoratori del “Buonarroti”, scaricando sulla scuola, dalla dirigente ai docenti al personale tutto, l’onere di sostenere il peso della situazione,  compresa l’ansia e la rabbia dei genitori, che spesso si è scaricata  proprio su di loro, con la richiesta incessante di informazioni che non arrivavano o la soluzione di una “fuga” verso altri Istituti, con dirigenti compiacenti che nulla hanno fatto per impedire che ciò accadesse.

 Tutto questo fino alla ripresa dell’anno scolastico del 14 settembre quando, finalmente, si è appreso dal notiziario regionale delle 14 che era stata trovata una sistemazione per gli studenti in ben tre scuole diverse, ma in un numero di aule non sufficienti per tutte le classi e con la prospettiva di procedere con turni pomeridiani per i tre quarti di esse.

 Non si è tenuto per nulla conto della provenienza degli studenti e delle esigenze delle famiglie, su cui si è scaricato tutto l’onere di garantire la frequenza dei propri figli (provvedere ai trasporti, conciliando i propri impegni di lavoro, sostenerne l’impegno, facendo fronte al prevedibile e naturale scoramento).

 La chiusura di una scuola non equivale a quella di un esercizio pubblico, un supermercato o una sala giochi, alla cui mancanza si può ovviare. È sicuramente una violazione di diritti garantiti costituzionalmente, quali quelli all’istruzione e al riconoscimento e valorizzazione delle proprie capacità, ma è, ancora di più, una “cattiva” educazione alla democrazia.

La scuola è la prima istituzione con cui si entra in rapporto, è il luogo in cui si impara ad essere cittadini fin dalla più tenera età, titolari di diritti e doveri; tutto ciò che accade nella scuola, non solo quello che passa attraverso l’insegnamento formale, è fonte di educazione, in particolare le relazioni e i comportamenti, soprattutto quelli con degli adulti.

 Non è un caso che la scuola venga continuamente richiamata a svolgere con efficacia questa funzione, caricandola di compiti gravosi per far fronte ad emergenze vecchie e nuove. “Cittadinanza e Costituzione” è diventata la parola d’ordine degli ultimi anni.

Ebbene, quale lezione hanno ricevuto i nostri alunni da tutto quanto è accaduto finora? Si sono ritrovati di fronte ad istituzioni silenti, sballottati dall’uno all’altro con vaghe promesse, mentre venivano costretti a sacrifici insostenibili in un momento cruciale dell’anno scolastico.

È stata inferta una ferita grave alle loro coscienze di cittadini, titolari di diritti e meritevoli di rispetto da parte delle istituzioni, mentre più complesso è diventato il compito degli insegnanti nel trasmettere loro il significato della cittadinanza: la contraddizione tra quanto viene proclamato e la realtà che si vive quotidianamente, tra l’ambiente di relazioni che uniscono i membri della comunità scolastica e quello che esiste al di fuori delle aule scolastiche, è immediatamente percepita dai giovani e genera scetticismo disimpegno.

È una ferita difficile da sanare. Chi convincerà ora questi giovani, e con loro le loro famiglie, ad avere fiducia nelle istituzioni, che vale la pena, che ha un senso impegnarsi nella vita pubblica?

Non è un caso che i lavoratori del “Buonarroti” hanno destinato il loro appello innanzitutto alle più alte cariche dello Stato, dal Presidente della Repubblica a quelli di Camera e Senato, perché quella in gioco è una questione democratica.

 I lavoratori del “Buonarroti” sicuramente continueranno a svolgere il loro lavoro coerentemente con quell’etica professionale che li ha sinora guidati, cercando di far fronte a tutte le difficoltà per garantire ai propri studenti insegnamenti efficaci e tutte quelle opportunità di arricchimento culturale e professionale che hanno caratterizzato e qualificato la storia dell’Istituto, meritandogli un giusto riconoscimento e non solo a livello locale.

 Ma alla conclusione di questa storia (che una conclusione pur dovrà avere!) è doveroso che i responsabili di tale situazione si presentino per chiedere scusa personalmente a ciascuno dei cittadini, alunni e genitori, che hanno subito una tale grave lesione dei propri diritti”.