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Il giudice monocratico del tribunale di Ivrea Antonella Pelliccia ha condannato il boss della camorra casertana Augusto La Torre per aver diffamato il 35enne giornalista del quotidiano di Cronache di Caserta Giuseppe Tallino. Il giudice ha inflitto a La Torre la pena di 1000 euro di multa, una condanna al risarcimento da quantificare in sede civile e la condanna al pagamento di una provvisionale di 3000 euro a favore di ciascuna parte civile (oltre alla refusione di spese legali per ciascuna parte civile di 1800 euro e accessori); il pubblico ministero della Procura di Ivrea aveva chiesto otto mesi di reclusione.
    Si chiude così in primo grado un processo nato dopo un’intervista rilasciata nel 2018 da La Torre ad un sito web, durante la quale definì il cronista “pseudogiornalista” e “portavoce della Procura” in relazione a diversi articoli scritti da Tallino che a suo parere non corrispondevano al vero. Il giornalista presentò querela dando il via al procedimento; in aula, nell’udienza del primo luglio scorso, La Torre ha poi rincarato la dose, aggiungendo nei confronti del cronista la parola “pennivendolo”, e accusandolo di “volere la scorta”. Nell’udienza del 15 aprile scorso invece, dopo la requisitoria del pm, La Torre (difeso dall’avvocato Alessio Michele Soldano) rese dichiarazioni spontanee affermando che le sue parole non erano tese a minacciare il giornalista, ma rappresentavano un esercizio del diritto di critica, mentre gli avvocati Alessandra Bazzaro e Francesco Parente, difensori di Tallino, e l’avvocato Gennaro Razzino, legale della testata Cronache di Caserta, anch’essa costituita parte civile nel processo, si associarono alla richiesta dell’accusa depositando inoltre la documentazione giudiziaria a sostegno della fondatezza degli articoli scritti da Tallino e relativi all’indagine della DDA di Napoli che negli anni scorsi aveva portato alla condanna di Antonio e Francesco Tiberio La Torre, rispettivamente fratello e figlio del boss; un’indagine nella quale emergevano anche elementi riferiti allo stesso Augusto La Torre. Quegli articoli, spiegarono nel corso dell’udienza di aprile i difensori del cronista, “generarono la rabbia del mafioso” che, dal carcere, rilasciò una lunga intervista a un giornale web casertano, in cui si sfogò duramente, prendendosela peraltro non solo con Tallino, ma anche con l’allora pm della Direzione Antimafia di Napoli, Alessandro D’Alessio (oggi Procuratore della Repubblica a Castrovillari), e con Maria Antonietta Troncone, in quel momento Procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere (poi divenuta Procuratore a Napoli Nord e oggi in pensione). La Torre, a capo dell’omonimo clan affiliato ai Casalesi che operava nel comune del litorale casertano di Mondragone e nelle zone limitrofe, è in carcere dal 1996, ed è stato condannato per decine di omicidi tra cui da ultimo la strage di Pescopagano del 1990 (sei persone morte e otto feriti); è divenuto anche collaboratore di giustizia, ma non è mai stato creduto fino in fondo, tant’è che la sua collaborazione è stata definita “riduttiva”.