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Caserta – Nicola Cosentino non aveva alcun interesse nella realizzazione del centro commerciale “Il Principe”, e i collaboratori di giustizia che hanno paventato un suo coinvolgimento nella vicenda, tra cui Nicola Schiavone, figlio del padrino dei Casalesi Francesco “Sandokan” Schiavone, hanno reso dichiarazioni imprecise e generiche, in alcuni casi non riscontrate, in altri addirittura smentite dalla “emergenze istruttorie”.

E’ quanto emerge dalle motivazioni della sentenza d’appello del processo “Il Principe e la Scheda Ballerina”, che ha assolto nel settembre scorso l’ex sottosegretario all’Economia del Governo Berlusconi e uomo forte di Forza Italia in Campania Nicola Cosentino – difeso da Stefano Montone, Agostino De Caro ed Elena Lepre – dall’accusa di tentato impiego di capitali illeciti con l’aggravante mafiosa in relazione alla costruzione a Casal di Principe di un centro commerciale voluto dal clan dei Casalesi, ma mai edificato; in primo grado, Cosentino fu condannato dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere a cinque anni di reclusione.

Schiavone jr dovrà essere sentito il 14 parile in altro processo d’appello che vede imputato Cosentino, quello per concorso esterno. I giudici d’appello del processo Il Principe, che hanno assolto una ventina di imputati, contestano al collegio di primo grado (presieduto da Orazio Rossi), di non aver non “sempre seguito un ordine cronologico delle conversazioni, che è invece assolutamente imprescindibile ai fini della ricostruzione dell’intera vicenda”. Dal contenuto delle conversazioni intercettate, emerge infatti non solo che “Cosentino non risulta essere mai intervenuto in nessuno dei passaggi essenziali dell’intera vicenda o nei momenti cruciali della stessa”, il cui iter partì nel 2000 con l’individuazione dell’area destinata a ospitare il centro, ma che era piuttosto “infastidito e restio” circa l’incontro, che poi effettivamente avvenne il 7 febbraio 2007, alla filiale Unicredit di Roma Tiburtina (in via Bari), dove secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, fu sbloccata, per intervento di Cosentino, la prima tranche da cinque milioni di euro del finanziamento per realizzare il Centro Commerciale; un incontro cui presero parte il direttore di filiale Cristoforo Zara, il cognato Mauro Santocchio, allora parlamentare di FI come Cosentino, il titolare della società costruttrice Nicola di Caterino, e che è risultato decisivo per la condanna inflitta in primo grado a Cosentino.

Per i giudici d’appello però il vero motivo dell’incontro non fu il Centro, in quanto il finanziamento aveva ricevuto già l’ok, ma vi furono “motivazioni esclusivamente politiche”, ovvero Cosentino fu “usato” per fini politici da Zara e Santocchio, con quest’ultimo che militava in una diversa corrente di Forza Italia e voleva accreditarsi verso i vertici nazionali del partito; e anche Zara voleva fare bella figura con il suo capo. Anche il cognato di Cosentino, Cipriano Cristiano, che di lì a pochi mesi divenne sindaco proprio promettendo posti di lavori per il Centro (è stato condannato per concorso esterno), aveva interesse che il deputato partecipasse all’incontro. Peraltro l’incontro si sarebbe dovuto tenere nella sede di Forza Italia, ma fu poi spostato a Roma.