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di Fabio Postiglione

Sono scesi a patti con Giuseppe Polverino, il boss del clan che domina gli affari non solo di Marano, ma anche di Giugliano e buona parte di Napoli. Così ogni appalto che vincevano dividevano a metà: metà a loro e metà al clan. E fecero così anche per il mega-appalto da cento milioni di euro del Pip di Giugliano. Questa mattina i Ros dei carabinieri hanno arrestato i fratelli Aniello (nella foto) e Raffaele Cesaro, fratelli del parlamentare di Forza Italia Luigi, e del consigliere regionale Armando. Associazione camorrisitica, è l’accusa pesante contestata ad entrambi. In carcere sono finite altre tre persone: Antonio Di Guida, Pasquale Di Guida e Oliviero Giannella. In quasi mille pagine, il gip Francesca Ferri, ricostruisce gli affari che hanno portato all’esecuzione dell’ordinanza. Secondo quanto ricostruito, i due fratelli, attraverso le loro imprese, si sono aggiudicati e hanno eseguito l’appalto milionario del Pip, infrastruttura strategica per lo sviluppo dell’economia locale, avvalendosi del vantaggio di essere in societa’ con esponenti apicali della camorra.

In particolare avrebbero imposto all’ex sindaco di Marano una variante al piano regolare e la nomina di un professionista di fiducia per redigere lo studio di fattibilità del piano, e la predisposizione di tutti gli atti necessari per lo svolgimento della gara in modo da pilotarla a favore dei Cesaro. Pertanto, secondo il quadro dell’accusa, i Cesaro e i loro complici avrebbero intimidito i proprietari dei terreni espropriati per farli desistere dalle loro pretese. La “rete” di professionisti avrebbe compiuto una serie di atti e di certificazioni falsi per realizzare capannoni e opere di urbanizzazione e il collaudo tecnico-provvisorio delle opere. Infine, sostiene il gip, i fratelli Cesaro avrebbero assegnato a una società nelle mani dei Polverino i lavori di sbancamento e le forniture dei materiali, per “ripagarli” del “piacere” ricevuto. Documentati una serie di tentativi di inquinamento delle prove da parte degli indagati, oltre a numerose inadempienze contrattuali tanto che il primo dicembre 2016 fu disposto il sequestro preventivo delle opere di urbanizzazione realizzate con soldi pubblici, perché mancava il collaudo e c’era il pericolo concreto per i cittadini della zona.

«Posso dire con estrema certezza che il 50 per cento dell’affare del Pip di Marano è dei fratelli Cesaro e l’altro 50 per cento è dei Polverino. Erano in accordo tra loro perché si potevano fare molti soldi». Sono queste le ricostruzioni fornite da Roberto Perrone, uno dei pentiti che hanno attribuito ai fratelli Aniello e Raffaele Cesaro interessi in comune con la criminalità organizzata. Proprio parlando con i pm della Dda il 24 giugno 2015 fa riferimento alle parole che lo stesso capoclan, che per decenni è stato latitante fino ad essere catturato in Sudamerica, gli avrebbe riferito quando si parlava del Pip di Marano. «È uno strumento edilizio voluto dalla famiglia Polverino, fin dagli inizi del 2000 – rivela – quando sono uscito nel 2008 ho saputo dal boss Peppe che il Pip era stato aggiudicato interamente ai Cesaro”. Il collaboratore riferisce che proprio Giuseppe Polverino raccontava di essere stato lui ad aver favorito i Cesaro manovrando l’appalto milionario: «Cesaro gli doveva dare circa 1.000.000 di euro per quelle festività natalizie: tale somma era la restituzione degli iniziali 400.000 euro investiti dalla famiglia Polverino nel Pip e altri 600.000 euro quale prima rata dell’intera richiesta estorsiva che ammontava a circa 1.500.000».