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“La casa se l’è presa una persona che è persona nostra… Capisci! Tanto o tra 6 mesi o tra un anno tu te ne devi sempre andare… E questo ha il potere di fartene andare anche prima, tu lo sai come vanno queste cose”. Queste frasi si sarebbe sentito rivolgere Lucio Marsicano, imprenditore di San Giorgio a Cremano, 7 anni fa. Un invito a lasciare l’abitazione familiare. L’appartamento era oggetto di una procedura esecutiva, in seguito a dichiarazione di fallimento dell’imprenditore. Ma a contattare Marsicano non erano gli ufficiali giudiziari. Sarebbe stato invece un uomo, oggi a processo per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Questo perché Marsicano ha denunciato i fatti di cui sarebbe vittima, assistito dall’avvocato Alessandro Motta e dall’associazione SOS Impresa. A giudizio è finito il 31enne Giovanni Maraucci, anch’egli imprenditore. La Dda di Napoli (pm Antonella Fratello) gli contesta un “disegno criminoso”, in concorso con altri non identificati. Avrebbe cercato di far sloggiare Marsicano “in tempi diversi mediante reiterate minacce“.

Secondo il capo d’accusa, dunque, l’imputato non avrebbe agito da solo. Sullo sfondo, la procura di Napoli vede l’ombra della camorra. Un’ipotesi basata pure su un legame di parentela. Maraucci risulterebbe infatti cognato di Roberto Mazzarella, considerato tra i capi dell’omonimo cartello criminale, egemone in diverse zone di Napoli e provincia. “Circostanza – sottolinea il pm – ben nota alla persona offesa”. Roberto Mazzarella non è però indagato in questo procedimento. Viceversa, un anno fa il gup Valentina Gallo ha rinviato a giudizio Maraucci. Il 31enne, anche da indagato, è sempre restato a piede libero. Ma ora deve difendersi dagli addebiti, dinanzi alla quinta sezione penale del tribunale di Napoli.

Tutto sarebbe iniziato nel marzo 2017. In quei giorni sarebbero giunti i primi segnali a Marsicano. La visita di alcune persone, rimaste però ignote. Gli avrebbero intimato di fargli visionare l’appartamento, perché intenzionate ad aggiudicarselo nell’asta giudiziaria. La richiesta sarebbe stata piuttosto spiccia: lasciando intendere a Marsicano “di possedere un’arma”. Da lì in poi sarebbe stata un’escalation. Nel maggio successivo una congiunta dell’imprenditore avrebbe trovato una busta nella cassetta della posta.

Inequivocabile il contenuto, stando alle carte: due proiettili e un messaggio scritto a mano. “Non siamo degli sprovveduti! Ve ne andate con le cattive!” le parole riportate. Un mese dopo sarebbe entrato in scena l’imputato, contattando Marsicano prima su messenger, quindi al telefono. La procedura esecutiva era nelle fasi finali. All’epoca – 13 giugno -, non ci sarebbe stato ancora il decreto di trasferimento dell’immobile. Sarà emesso nel giro di due settimane, in favore di un aggiudicatario, non coinvolto nell’indagine. “Persona nostra” avrebbe sostenuto Maraucci. Secondo la Dda, avrebbe così sollecitato l’imprenditore a fare fagotto. “Tanto o tra 6 mesi o tra un anno tu te ne devi sempre andare”. Per rafforzare il diktat, avrebbe fatto “chiaramente intendere” che “sarebbero intervenuti membri del clan Mazzarella”. Cioè si sarebbe avvalso  della “forza di intimidazione”, contando “sulla conseguente omertà”. Elementi derivanti dallo “stato di assoggettamento provocato dal suo legame familiare con Mazzarella Roberto”. Poi sono partite le denunce, e adesso c’è un processo in corso.