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Droga, riciclaggio e favoreggiamento ai latitanti della camorra. È un terremoto con 17 arresti e un’ombra su imprenditori in odore di camorra.
I militari della Sezione Mobile del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Avellino, unitamente alla Direzione Investigativa Antimafia di Napoli, hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare in carcere – emessa dal Gip del Tribunale di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia napoletana – a carico di 17 persone in ordine ai reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti e di importazione di quantità anche ingenti di sostanze del tipo cocaina ed hashish. 

Secondo la ricostruzione accusatoria accolta dal Gip, a capo del sodalizio criminale c’è l’imprenditore nolano Armando Manzi, attivo nel settore della ristorazione finalizzata alla celebrazione di cerimonie, affiancato dal figlio Oreste e da una schiera di collaboratori, in grado di importare dalla Spagna considerevoli partite di stupefacente destinate al mercato delle province di Napoli e Avellino. Con riguardo al traffico di stupefacenti nel corso delle indagini era stato operato il sequestro complessivo di 323 chili di hashish, per un valore pari a 3.230.000 euro abilmente occultato in apposito doppio-fondo creato ad hoc all’interno di uno dei serbatoi di carburante di un autoarticolato.

L’attività di indagine ha permesso di accertare altresì che i membri apicali del sodalizio hanno intrattenuto per alcuni anni legami con esponenti di vertice del clan metropolitano dei Lo Russo, in particolare agevolando fra il 2012 ed il 2014 la latitanza del capo clan – ora collaboratore di giustizia – Antonio Lo Russo, ed in particolare ospitando Lo Russo nelle zone di Roccarainola, Comiziano e Sperone e gestendo unitamente ad appartenenti del predetto clan importazioni di stupefacente dell’estero. È stata data altresì esecuzione ad un decreto, emesso dal medesimo Gip e sempre su richiesta della Dda, di sequestro preventivo della struttura ricettiva per cerimonie denominata Villa Manzi, sita in Roccarainola, e delle quote della società proprietaria della stessa, tuttora riconducibili alla titolarità e gestione effettiva di Manzi pur se formalmente intestate, in virtù della ricostruzione accusatoria recepita dal Giudice, attraverso alcune operazioni negoziali fittizie, a soggetti prestanome; si tratta della medesima struttura ricettiva che, nel corso delle indagini, era emersa come utilizzata come base per alcune operazioni di ricezione e stoccaggio di partite ingenti di stupefacenti, per lo svolgimento di riunioni fra gli associati ed anche per appoggio logistico alla latitanza del capo clan Antonio Lo Russo.