- Pubblicità -
Tempo di lettura: 3 minuti

Napoli – In riferimento alla morte del detenuto Giovanni De Angelis, nato a Napoli il 12 gennaio del 1972, malato di tumore all’intestino con metastasi lungo tutto il corpo, morto il 27 dicembre scorso presso il Cardarelli, e detenuto presso la Casa Circondariale di Poggioreale, e in mancato differimento della pena da parte della Magistratura di Sorveglianza, segue questa lunga e dettagliata dichiarazione – denuncia del Garante campano dei detenuti Samuele Ciambriello. Ecco di seguito la sua lettera. 

“Il detenuto Giovanni De Angelis era stato arrestato per la legge sulle armi e posto agli arresti domiciliari, evadeva dalla abitazione in cui risiedeva e veniva accompagnato presso il carcere di Poggioreale, e qui iniziava la storia infernale, per lui e per la Magistratura di Sorveglianza.
Aveva un colloquio con me il giorno 3 dicembre 2019 e dopo diversi solleciti a livello sanitario, il detenuto veniva tradotto presso l’AORN Cardarelli, dal quale veniva dimesso con prognosi tumorale che annunciava “una vita breve”. Sollecitata da me, la Direzione Sanitaria del carcere di Poggioreale mi confermava che il 5 dicembre aveva emesso un certificato di Incompatibilità col regime carcerario. Voglio qui ricordare che nella nostra Regione si contano sulle dita di una mano le dichiarazioni di Incompatibilità col regime carcerario.
Successivamente, il 19 dicembre 2019 teneva un ulteriore colloquio con una mia collaboratrice, nel quale lui risultava depresso, confuso, e affetto da schizofrenia indifferenziata. Dalla fine del mese di Novembre, e per l’intero mese di Dicembre, il suo avvocato chiedeva, senza ottenere alcuna risposta, al Tribunale di Sorveglianza di Napoli una concessione di misura alternativa alla detenzione.
Il 27 dicembre scorso, dal carcere di Poggioreale veniva allertato il 118 e così il detenuto veniva portato all’AORN Cardarelli dove, lo stesso giorno, Giovanni De Angelis morirà.
Pare che lo stesso 27 dicembre fosse arrivata l’autorizzazione del Magistrato di Sorveglianza, alla detenzione domiciliare presso l’abitazione della sorella in Napoli.
Voglio ricordare che l’incompatibilità carceraria si verifica quando la persona è in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più (secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o di quello esterno) ai trattamenti terapeutici praticati in carcere.
Credo che non si tratti quindi di una concessione eventuale e/o discrezionale, ma di un preciso diritto, peraltro riconosciuto anche agli imputati.
Voglio ribadire, per chiudere, che questa possibilità è prevista dall’art. 11 dell’Ordinamento Penitenziario che dispone: “Ove siano necessari cura o accertamenti diagnostici che non possano essere apprestati dai servizi sanitari degli Istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti, con provvedimento del Magistrato di Sorveglianza in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura”.

In questa circostanza, il mancato differimento della pena è una violazione dei diritti costituzionali, ed è un trattamento contrario al senso di umanità.
Non è accettabile che un detenuto muoia in uno stato di detenzione dopo che, per una patologia nota e conclamata, è stata dichiarata l’Incompatibilità con il regime carcerario.
Non si può morire di carcere e in carcere.