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Napoli – A chiederla è stata il dirigente della Squadra Mobile Luigi Rinella: aveva capito che dietro quel muro c’era qualcosa nascosto e così ha voluto una speciale termocamera. C’era una cavità sospetta. E così i poliziotti sono riusciti a individuare nell’abitazione dell’imprenditore Adolfo Greco una intercapedine dove c’erano nascosti 2,5 milioni di euro in contanti. All’indagato arrestato, perno centrale dell’inchiesta della Dda che ha portato a tredici arresti a Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, è stato contestato il reato di estorsione in concorso. La termocamera è riuscita a individuare la cavità nei muri e a trovare i soldi. Una volta trovato il vuoto i poliziotti hanno manifestato la volontà di sfondare il muro. A questo punto i presenti rivelato loro il meccanismo per aprire l’accesso all’intercapedine, che si attiva spingendo un battiscopa. L’imprenditore, secondo le indagini, pagava la tangente ai clan, per lavorare in tranquillità, ma li aiutava anche dando indicazioni ai clan e convincendo le vittime a pagare. Nell’ambito dell’inchiesta della polizia su delega della procura di Napoli che ha portato a 13 misure cautelari nei confronti di 13 indagati, ai domiciliari è finita anche la vedova del boss Michele D’Alessandro, a capo del clan egemone a Castellammare di Stabia. La donna ha antichi rapporti di amicizia con l’imprenditore Adolfo Greco, figura centrale nell’indagine, ora in carcere, per gli inquirenti vessato dai clan ma nello stesso tempo loro pedina importante per tenere sotto controllo le attività economiche di molti comuni della fascia vesuviana del Napoletano. Il rispetto e la stima di cui il Greco gode sono tali che i suoi rapporti sono solo ed esclusivamente con i vertici o con i loro familiari o fiduciari; Greco non viene ‘convocato’ come solitamente accade alle vittime di estorsione, ma esponenti di spicco dei gruppi di criminalità organizzata vanno di persona nella sua azienda, la Cil srl di Castellammare di Stabia, dopo aver preso appuntamento telefonico. Con i Cesarano, ad esempio, l’imprenditore è riuscito a contrattare l’entità della somma da versare come tangente facendo ricorso a espliciti riferimenti sulla sua vicinanza al clan e ad accordi con i precedenti vertici, interagendo prima con Nicola Esposito, detto ‘o mostro, e poi con Luigi Di Martino, detto ‘o profeta, nonché Giovanni Cesarano, Aniello Falanga e Attilio Di Somma, anche loro in carcere ora.