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Napoli – E’ un evento raro, forse rappresenta addirittura un unicum: ieri, durante le perquisizioni dei finanzieri del Gruppo di Torre Annunziata e della Compagnia di Casalnuovo nell’ambito di un’indagine su corruzione e rifiuti a Napoli, sono stati sequestrati beni per un valore quasi doppio rispetto a quello stimato, pari a 4 milioni di euro, disposto dal giudice.

A far lievitare in maniera esorbitante il valore dei sequestri è stato il ritrovamento, nella cantina di uno degli arrestati, l’imprenditore Salvatore Abbate, di oltre 4,5 milioni di euro in contanti, che hanno provocato non pochi grattacapi alle operazioni di conteggio. Questa enorme quantità di denaro si va ad aggiungere a quanto trovato su diversi conti correnti e agli immobili, abitazioni e ville, ai quali le fiamme gialle hanno apposto i sigilli. Una enorme quantità di denaro contante forse frutto delle attività di riciclaggio dell’imprenditore coinvolto nell’inchiesta e a capo di una cordata di imprese che, corrompendo dipendenti pubblici e anche poliziotti, è riuscita ad accaparrarsi e a lucrare sullo smaltimento dei rifiuti a cavallo tra il 2017 e il 2018.

Il meccanismo messo in piedi da Abbate insieme con alcuni suoi stretti congiunti, è un sistema di “bare fiscali” attraverso le quali l’imprenditore (arrestato e condannato per estorsione, in primo grado, ma poi assolto in appello) “ripuliva” denaro “sporco” anche per conto di terzi, tra i quali figurerebbe anche la camorra di Napoli Est. Dalle pagine dell’ordinanza del gip di Napoli Vincenzo Caputo emergono diversi particolari che fanno capire come Salvatore Abbate sia riuscito a mettere in piedi l’ efficiente sistema di monetizzazione attraverso il quale, previa trattenuta del 2%, era possibile “lavare” i profitti delle attività illecite. A lui, si sarebbe rivolto anche un pregiudicato vicino al clan Formicola, titolare effettivo di un’ azienda intestata a un prestanome che ha fatturato 40 milioni di euro per operazioni inesistenti, successivamente “monetizzati” con le ditte “lavatrici” di Abbate.

L’imprenditore viene descritto dai collaboratori di giustizia come un punto di riferimento per i clan dei quartieri est del capoluogo partenopeo: uno che “andava a fare le estorsioni più importanti atteso che era una persona che ci sapeva fare e portava giacca e cravatta”, un “colletto bianco” in buoni rapporti con Salvatore Fido, ritenuto un elemento di spicco del clan Mazzarella (che si recava a casa sua per incontrarlo), e in amicizia anche con la famiglia malavitosa Veneruso-Rea.