Tempo di lettura: 2 minuti

La cronaca dall’area metropolitana di Napoli ha registrato, negli ultimi giorni, una serie di episodi di violenza giovanile che hanno allarmato famiglie e istituzioni. A Melito, due sere fa, una banda di giovanissimi in scooter aveva seminato il panico nel cortile di un istituto scolastico, esplodendo quattro colpi in aria, probabilmente da una pistola a salve. Nel quartiere dello Scudillo a Napoli era stato rinvenuto un coltello in un bagno scolastico; pochi giorni prima, nel centro storico, un quindicenne era stato accoltellato all’uscita da scuola per motivi futili. In un altro episodio in provincia, uno studente era stato colpito alla testa con un martello nel corso di una lite fuori dall’istituto. La concatenazione di fatti ha restituito il quadro di una devianza crescente tra minori.

La denuncia delle istituzioni

Di fronte a questi episodi, Ciro Buonajuto, vicepresidente ANCI con delega alla legalità, aveva richiamato l’attenzione pubblica sottolineando la necessità di misure giudiziarie severe, senza però ritenere sufficiente la sola repressione. “Le manette sono necessarie, ma non bastano”, aveva affermato, insistendo sulla dimensione culturale del fenomeno. Per Buonajuto il problema non era circoscrivibile all’ordine pubblico: si trattava di una questione sociale e culturale che avrebbe richiesto impegni trasversali.

Verso una strategia integrata

Nelle sue dichiarazioni, Buonajuto aveva indicato la scuola, la famiglia, le istituzioni locali e il terzo settore come snodi essenziali per intervenire. “Bisogna cambiare la mentalità dei nostri ragazzi, far capire che il rispetto, la legalità e la convivenza civile non sono un limite, ma un valore”, aveva detto, proponendo la creazione di alternative reali: luoghi di aggregazione, spazi sportivi e culturali in cui orientare energie e tempo libero. L’appello era stato chiaro: non bastavano provvedimenti isolati, servivano politiche sostenute e coordinamento tra attori pubblici e privati.

La sfida locale e le risposte possibili

La sequenza di aggressioni aveva rimesso al centro il tema delle misure preventive: dalle attività extrascolastiche alla presenza di servizi sociali rafforzati, passando per progetti mirati nelle scuole per la promozione della legalità. Il messaggio di Buonajuto aveva richiamato soprattutto il concetto di responsabilità collettiva: senza una risposta condivisa — aveva osservato — si sarebbe rischiato di lasciare i giovani «nel deserto dei valori e delle opportunità»”