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Napoli – Una guerra di sguardi”. Luigi Riello, procuratore generale della Repubblica di Napoli, aveva usato questa frase, l’altro giorno, per spiegare a che livello si sia abbassata la soglia della provocazione, a Napoli, per scatenare la violenza tra i giovani, che sempre più spesso escono di casa armati. Basta un nonnulla. “Uno sguardo di troppo”, come scrivono i carabinieri nell’ennesimo bollettino drammatico, fatto di botte e accoltellamenti.
Tre feriti, nella notte della movida, nel centro della città.
Per fortuna nessuno è grave, ma è noto che quando si tratta di coltelli è solo questione di centimetri. Il primo episodio intorno alle 23, nel quartiere Porto. Un 14enne, mentre era in compagnia di alcuni amici, è stato aggredito da altri suoi coetanei con calci e pugni. Ha riportato un trauma cranico “non commotivo” e, dopo le cure, è stato affidato ai genitori. Il motivo delle botte sarebbe stato appunto uno sguardo insistito, percepito come una intollerabile provocazione.
Passa un’ora, è mezzanotte, e lo “sguardo di troppo” si sposta a via San Carlo. Stavolta le vittime sono due, hanno 17 anni. Ai carabinieri raccontano che poco prima, mentre erano con degli amici ai Quartieri spagnoli, zona che pullula di bar e ristoranti, sono stati aggrediti da un gruppo di ragazzini armati di coltelli. Un’ambulanza porta i due diciassettenni all’ospedale Pellegrini: uno ha “ferite multiple da punta e taglio” a una coscia, a una mano e altrove; l’altro lo stesso tipo di lesioni alla testa e al collo. Per entrambi, però, la prognosi è solo di una decina di giorni.
Due episodi, che si accompagnano ad altri solo in apparenza meno gravi – atti vandalici, molestie, bullismo, la guida di motorini senza casco e senza patente (l’altro giorno un diciottenne ha investito e per poco non ha ammazzato un carabiniere) – che si spiegano con quel “deserto di valori” di cui parla il procuratore generale Riello, secondo cui “si deve lavorare per bonificare e diffondere la cultura della legalità”.
Il fenomeno della delinquenza minorile, per il magistrato, “è trasversale”, interessa, cioé le periferie quanto i salotti buoni della città, le pattumiere sociali e i quartieri dorati: non c’è solo degrado e miseria dietro l’esplosione della violenza dei giovani”. Il procuratore generale di Napoli punta il dito contro i videogiochi, l’uso distorto dei social e del web, i “modelli sbagliati delle fiction”, il “buonismo normativo”, ma anche i genitori troppo permissivi (“tanti tredicenni alle 3 del mattino sono ancora in giro per la città”) e la scuola, “che non educa al sacrificio e all’impegno: oggi il 99,7% degli studenti viene promosso… siamo pieni di geni, ma qualche dubbio io lo nutro”.
Quello della violenza giovanile “è uno dei temi più importanti che abbiamo sul tavolo“, dice il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, secondo cui è vero che il problema ha tante sfaccettature, ma la risposta principale va cercata all’interno del contesto familiare. “Il tema – secondo il sindaco – non è tanto che l’adolescente sia in strada, ma che la famiglia non sa cosa fa l’adolescente in strada, cioè si è perso il rapporto di dialogo tra famiglia e ragazzi minorenni, spesso molto piccoli. Quindi c’è anche un tema di attenzione nei confronti dei ragazzi con maggior dialogo e vigilanza”.

Basta uno sguardo o un commento per far scatenare la scintilla criminale a gruppi di giovani che sembrano non sapersi più relazionare tra loro se non con il linguaggio della violenza e della sopraffazione. Ciò che stupisce è l’assoluta mancanza di vigilanza da parte delle famiglie di questi ragazzi che consentono loro tranquillamente di girare a tarda notte per le strade della città, armati di coltello oppure in sella a potenti scooter senza patente”. Lo afferma, in una nota, Francesco Emilio Borrelli, deputato di Alleanza Verdi – Sinistra, parlando dei tre ragazzi che sono stati aggrediti per uno sguardo di troppo da loro coetanei e del ragazzo sorpreso in sella ad uno scooter, con un 14enne, senza patente.
Ebbene noi vogliamo conoscere anche a quali famiglie appartengono i protagonisti di questi gesti criminali; vogliamo capire se sia necessario far intervenire gli assistenti sociali o se si tratti di famiglie ai quali questi ragazzi dovrebbero essere sottratti. Rimetterli in libertà senza che nulla accada significa aspettare passivamente il prossimo morto per il quali tutti piangeremo senza che nulla cambi”, aggiunge Borrelli.