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Napoli – Aveva fatto notizia la chiusura del Kestè, noto locale sito nel centro storico di Napoli. Una chiusura arrivata a causa di numerosi motivi: una richiesta di estorsione, le continue risse nei pressi della struttura ed in generale un degrado sempre maggiore, denunciato dal titolare Fabrizio Caliendo

“Il Kestè è chiuso. Senza tutela, senza una condizione di maggiore serenità non sarà possibile riaprire. Il 28 febbraio ci sarà una manifestazione di protesta di tutto il nostro quartiere, ovvero il CENTRO ANTICO DI NAPOLI! Manifestiamo per l’abbandono istituzionale in cui ci troviamo”, aveva scritto lo stesso Caliendo su Facebook lo scorso 20 febbraio.

Ebbene, la manifestazione di protesta è arrivata, ma con il colpo di scena: un gruppo di giovani, ex dipendenti del locale, è infatti sceso in campo per denunciare di aver lavorato “in nero”, senza garanzie e con una retribuzione ridotta all’osso.

Una scelta coraggiosa quella degli ex dipendenti del Kestè, che non è passata inosservata. Sulla vicenda infatti è intervento anche il prof. ing. Gennaro Capodanno, Presidente del Comitato Valori collinari, che ha scattato anche la foto (di copertina). Queste le sue dichiarazioni: “Manifesto la mia solidarietà a questi lavoratori che stasera (28/02/2020) nel corso di una manifestazione per il rilancio del centro storico, hanno avuto il coraggio di manifestare il loro disagio perché hanno perso il lavoro ed hanno lavorato senza alcuna garanzia e/o diritto. Questi sono i nostri giovani di cui tutti parliamo; sono quelli che noi vogliamo restino in Italia, e poi li trasformiamo in lavoratori fantasma su cui si scarica tutta la inadeguatezza del sistema che non è in grado di tutelare il lavoro ed i lavoratori! Questa sera ero con loro, mi ha impressionato il loro racconto e l’affermazione di un signore maturo, il quale pretendeva che questi lavoratori si sarebbero dovuti stare zitti, perché quando un lavoratore è al “nero” è colpa sua, perché poteva rifiutare! Questo signore ha cancellato 50 anni di lotta per il lavoro. Ho avuto un senso di mortificazione e vergogna. Gli ho potuto solo ricordare che “L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro”, quello vero, non quello che riduce in schiavitù!”.