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NAPOLI – Sarà che tutti dicono che la situazione della città, a cominciare da quella dei suoi conti, “è grave” (ma non seria aggiungerebbe Flaiano), ma la campagna elettorale di Napoli “si apre con la Juventus”, per citare il reportage di Repubblica che domenica ha occupato 2 pagine per portare all’attenzione dell’opinione pubblica italiana la corsa partenopea delle prossime amministrative.

Il fatto è presto detto: Gaetano Manfredi, giovedì 27 maggio, accetta la candidatura a sindaco che gli offrono il centrosinistra e il Movimento 5 Stelle e subito, nei giorni immediatamente successivi, in modo particolare dai profili social dei supporter di 2 dei suoi competitor, Catello Maresca e Antonio Bassolino, iniziano a levarsi strali contro di lui, accusato di essere tifoso della Juventus.

Il fatto è che il dibattito non impiega nulla a trasferirsi anche sui giornali. Tant’è che ancora oggi, il giorno dopo la prima conferenza stampa dell’ex rettore, molti titoli sono dedicati a questo particolare della fede calcistica del candidato Manfredi. Che, evidentemente, particolare per molti non è se addirittura si scomoda il professore di diritto della Seconda Università Guido Clemente di San Luca sulla prima del Corriere del Mezzogiorno per firmare un fondo intitolato “Tifare Juve non è ininfluente, evoca dispregio per le regole”, con tanto di ricostruzione dei fatti. Inesatta, tra l’altro, facendo iniziare la storia lo scorso 31 maggio. Mentre, invece, la storia è vecchia di quasi un anno.

Anche le fake news, evidentemente, hanno un peso. Perché ora, al centro del dibattito, è la confessione di Manfredi. Quando è avvenuta? Forse, a questo punto, una esatta ricostruzione quantomeno potrebbe servire ad incanalare il dibattito (se dibattito deve essere) su binari un pò più veritieri.

L’ex rettore non ha confessato di essere juventino nel corso della puntata di “Un giorno da pecora” dello scorso 31 maggio, in maniera temeraria (se temerario può essere confessare per chi si fa il tifo) a 4 giorni dalla sua discesa in campo, come molti credono o fanno strumentalmente credere.

La confessione è vecchia di quasi un anno: si è registrata nella puntata del 22 giugno 2020.

Manfredi, all’epoca, era ministro dell’Università e della Ricerca del Conte 2. E, probabilmente, non poteva nemmeno immaginare di ritrovarsi candidato sindaco di Napoli.

Erano trascorsi appena 5 giorni dalla finale di Coppa Italia che vide il Napoli battere ai rigori la Juve (4-2, per gli amanti delle statistiche), e i conduttori Giorgio Lauro e Geppi Cucciari della trasmissione satirica di Radio 1 presero a punzecchiarlo così.

Ma come, un napoletano juventino…

“Purtroppo, i miei amici dicono che ho questo difetto. Lo esprimo pubblicamente”.

Come è stata per lei la finale di Coppa Italia?

“Da tifoso juventino mi è dispiaciuto perdere. Ma devo dire che se proprio dovevamo perdere, meglio averlo fatto col Napoli perché un altro pezzo di me è rimasto contento”.

Ha visto la partita?

“Sì, assieme a tanti napoletani: è stata dura (ride)”

L’hanno insultata?

“Moderatamente”.

Sono scesi in piazza a festeggiare?

“Ho visto la partita a Roma, qui nessuno è sceso in piazza. A Napoli hanno festeggiato, è stata una serata di liberazione”.

Qualcuno le ha scritto?

“Sì: i miei amici, i miei colleghi. Diciamo che hanno approfittato del momento”.

Un anno dopo. Manfredi candidato sindaco, è inchiodato a quelle parole. Da giorni. 

Il prof Clemente di San Luca: “Candidarsi ad amministrare l’istituzione esponenziale di un popolo dovrebbe sempre accompagnarsi con l’attitudine a rappresentare adeguatamente l’antropologia propria di esso”.

Il direttore d’Errico, sabato, a un lettore del Corriere del Mezzogiorno che gli chiedeva che senso avesse parlare di Manfredi juventino sui giornali, ha risposto così: “Di Manfredi come degli altri candidati è importante conoscere le passioni e i sentimenti almeno quanto i progetti: traslocheranno con loro a San Giacomo e influenzeranno lo stile di governo, faranno pendere il sindaco verso l’una o l’altra scelta”.

Nel frattempo, Manfredi, ieri, se l’è cavata così: “A me non piace né dire bugie né fingere né essere ipocrita: si è detto che da ragazzino ero juventino ma ho un grande amore per la città e un grande amore anche per la squadra perché non ci può essere una grande Napoli senza un grande Napoli”. 

I suoi promettono che se ne riparlerà quando la campagna elettorale toccherà le questioni più concrete della città, come quella degli impianti sportivi. O della stessa adeguatezza del San Paolo (pardon, del Diego Armando Maradona). E forse, a tal proposito, la Juventus, che è riuscita ad avere uno stadio bellissimo e assai remunerativo di sua proprietà, potrebbe essere una volta tanto un modello. Accettato da tutti, juventini e non.