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di McBlu76

Il confine. Il confine tra una vittoria ed un sconfitta, tra una decisione arbitrale sbagliata ed una corretta, con un regolamento a colori, a seconda delle maglie. Tra Eindhoven ed il Como, in balià degli eventi, tra campo, arbitri e var. In Olanda una squadra senz’anima, che si sgretola alle prime difficoltà, arrendendosi prima agli episodi, poi agli avversari. Al Maradona gli episodi ci tengono in vita, impossibile sapere cosa sarebbe accaduto senza Milinkovic su Lautaro o se i nerazzurri avessero concretizzato una delle cinque, sei palle gol avute nei primi 45 minuti. La differenza tra Eindhoven ed il Maradona è stata nella sofferenza intesa come capacità di soffrire, inesistente in Champions evidente in campionato. Il Psv ci demolì senza fatica, l’Inter creó con qualità, trovandosi una squadra difronte, una squadra viva, in difficoltà ma viva, pronta a reagire, a prendersi il suo pezzo di partita, campo ed episodi, ribaltando nella ripresa pronostici ed inerzia.

La sofferenza di Lecce, stanchezza a farla da padrona, un 433 spento, senza colpi, senza genio, un rigore parato, un colpo di testa deviato, il Napol che viaggia al confine tra il pareggio, la sconfitta e la vittoria, ci abbiamo tirato su un campionato l’anno scorso, sappiamo di cosa parliamo. Il Como di Fabregas, tra scuola catalana ed ostruzionismo italico, partita tosta, sporca, tesa. Il Napoli è stanco da subito, rosa incredibilmente corta e falcidiata dai problemi muscolari, ma la squadra regge mentalmente, capisce che potrebbe essere più facile perderla provando a vincerla che portarla a casa, poche idee e pochissima gamba, e allora che punto sia. Sette punti in tre partite, considerando le prestazioni, gli episodi, lo stato di forma e che si parla di una squadra privata della sua spina dorsale recuperata solo sabato ed in condizioni precarie, Rrahamni, Lobotka ed Højlund aspettando Romelu, va benissimo così. Sarebbero potuti essere tre, quattro o uno solo. Quel confine sottilissimo tra una vittoria, una sconfitta ed un pareggio dicevamo.

Stesso confine tra un fischio ed un fischio mancato, tra un Var che interviene e che decide di non farlo, tra un designatore arbitrale che si contraddice e contraddice il regolamento stesso una settimana si e l’altra pure. Ed è questo il confine che più ci fa paura. Perché il campo è il campo, ed il Napoli di Conte l’abbiamo imparato a conoscere, sbuffa, soffre, gioca male e perde pezzi, ma te lo ritrovi sempre lì, in testa o in agguato ad un passo dalla prima. Mentre quello che decidono o non decidono gli arbitri è imponderabile, spada di damocle perenne. Ti può andar bene o male, ma quando da Milano alzano la voce le possibilità che giri storta aumentano, è un fatto. Dal fallo da rigore subito da Giovanni Di Lorenzo agli episodi di Verona, fallo di Bisseck e spinta di Esposito in occasione dell’autogol scaligero, passando per il mani fischiato a Juan Jesus, la linea di condotta tracciata pare chiara, inequivocabile. Nonostante la dinamica del contatto Mkhitaryan Di Lorenzo sia chiara ed uguale in tutto e per tutto a tantissimi episodi che hanno determinato rigore fischiato e silenzio, si è scatenato l’inferno mediatico, dichiarata aperta la caccia al Napoli, arbitri avvisati e messi in riga, perché un fischio giudicato corretto in una partita può costare sanzione e gogna mediatica in un’altra.

“Contro a tutti, contro a tutti quanti” disse Diego nel 1987 dopo un Fiorentina Napoli. La storia non è cambiata. Vincere a Napoli è difficile, tollerato a fatica. E tre in quattro anni sarebbero troppi, insopportabili. Ed è per questo che sarà difficile, difficilissimo, al di là della forza e dei limiti del Napoli, mettiamocelo in testa.