- Pubblicità -
Tempo di lettura: 8 minuti
NAPOLI – Attilio Belli, classe 1937.
 
“Nato a Roma, ma napoletano da sempre”.
 
Professore emerito di urbanistica della Federico II.
 
“Titolo che mi consente di avere ancora uno studio in dipartimento”.
 
Ma preferisce ricevere qui?
 
“No. Anche se al Gambrinus, in quest’angolo, mi trovo bene”.
 
Sotto lo sguardo della “Donna tra i limoni” di Vincenzo Migliaro.
 
“Sì, è diventato il mio posto”.
 
Consulente del Comune di Napoli per il Piano Regolatore del 1972.
 
“Esatto”.
 
Tra i redattori del Piano Strategico per Napoli all’epoca della Iervolino.
 
“Questa non fu un’esperienza positiva. Fui costretto a dimettermi assieme a Carlo Donolo stante l’inerzia del Comune nel portarlo avanti”.
 
Belli: scrittore, anche.
 
“Nel 2016 mi sono anche azzardato a scrivere un testo autobiografico: Memory cache. Urbanistica e potere a Napoli“.
 
Editorialista del Corriere del Mezzogiorno.
 
“Sì, collaboro da tempo immemore cercando di avanzare qualche suggerimento. Di scrivere cose semplici, senza barocchismi”.
 
Ma ora curatore di un libro che niente niente vuole cambiare il destino di una città (e che città): “Napoli 1990-2050, dalla deindustrializzazione alla transizione ecologica”.
 
“Ovviamente, non ha un obiettivo così ambizioso. Ma aspira ad aprire un dibattito pubblico allargato e strutturato”.
 
Di deindustrializzazione se ne occupò già quando fece la tesi di laurea.
 
“Nel bel mezzo dei trent’anni gloriosi: 1945-1975, della fase positiva dell’industrializzazione. Quando si progettavano le Asi, le Aree di Sviluppo Industriale. La  tesi si occupava della progettazione delle aree industriali nella fase dello sviluppo”.
 
Comunque il libro in uscita si occupa di altri trentenni.
 
“Si occupa del trentennio che potremmo chiamare inglorioso, dal 1990 a oggi. E di quello che abbiamo davanti per arrivare al 2050, quello della transizione ecologica”.
 
Gli ultimi tre non sono stati decenni facili.
 
“L’Italia, e in modo particolare il Sud, sono incappati nella trappola dello sviluppo intermedio, come dice l’economista Gianfranco Viesti. Perde la sfida dell’innovazione col Nord e ha costi di produzione assai maggiori rispetto all’Est”.
 
Il trentennio inglorioso a Napoli si è aperto con la chiusura dell’Italsider.
 
“E con l’apertura di una storia, quella della riqualificazione di Bagnoli, nata già male”.
 
Il sindaco Nello Polese la mise a capo del gruppo di lavoro che doveva trasformare quell’area in parco scientifico.
 
“Il tentativo era quello di coniugare il lavoro e l’ambiente. Ma fallì per un certo spirito del tempo: si era attorno al 1992, agli anni di Tangentopoli, gli anni in cui dietro tutto ciò che si metteva in piedi si annidava il sospetto che ci fosse un imbroglio”.
 
Poi venne Bassolino.
 
“Il quale agitò la bandiera del risarcimento, inizialmente con una opzione ambientalista manichea. Come è andata a finire è, purtroppo, noto a tutti. Nel libro, 3 saggi su 30 sono dedicati a Bagnoli”.
 
Il primo.
 
“Biagio Cillo l’ha intitolato emblematicamente La via per l’inferno è lastricata di buone intenzioni“.
 
Il secondo.
 
“E’ di Vincenzo Lipardi”.
 
Cita Lipardi e viene in mente l’incendio di Città della Scienza.
 
“Esatto. Avrà fatto uno sforzo immane a scriverne con distacco”.
 
Il terzo saggio su Bagnoli.
 
“Di Carmine Piscopo”.
 
L’assessore di De Magistris. Allora, professore: non è vero, come dice, che lei ha un brutto carattere.
 
“Non so se ho un brutto carattere. Ma, certo, non penso che le cose siano semplici. Per questo credo che sia utile approfondire le ragioni della loro complessità”.
 
Diciamo che è bendisposto allora.
 
“Io ho un giudizio tutt’altro che lusinghiero sulle ultime amministrazioni comunali di Napoli. E credo che le giunte di De Magistris abbiano fatto particolarmente male. Ma ho personale stima di Piscopo e ho ritenuto giusto nonché utile che descrivesse gli ultimi anni dal suo punto di vista: le difficoltà, i problemi che ha trovato. Un percorso di verità può essere utile”.
 
Per compierlo, nel libro ha messo assieme trenta saggi firmati da 31 napoletani e da 1 piemontese che cita spessissimo: Paolo Perulli.
 
“A parte che è stato il primo a consegnare il contributo nei tempi e nella lunghezza stabiliti, Perulli si fa apprezzare perché, da sociologo, introduce uno sguardo globale”.
 
Non la colpisce solo per il suo senso del dovere e della misura.
 
“No. Ha scritto un saggio, Nel 2050, passaggio al nuovo mondo, che riflette su quale possa essere l’identità glocale e la “politica estera” delle grandi città, tra cui Napoli”.
 
Sentiamo.
 
“Napoli deve essere la sponda europea di una interrelazione privilegiata con il Nord Africa”.
 
Allora inutile arrovellarci ad ogni campagna elettorale nel proporre una visione di città nuova.
 
“L’Europa ce l’ha già assegnata. Ed Enzo Amendola fa bene a ricordarlo: Corridoio 9”.
 
Il Corridoio che vuole collegare la Scandinavia col Mediterraneo e di cui Napoli è snodo cruciale.
 
“Esatto. Si tratta di capire come svilupparci giocando in questo ruolo in maniera sostenibile, rafforzando l’utilizzo in primis del nostro porto”.
 
Un esempio.
 
“Virtuoso è quello già in campo per le energie rinnovabili: la piattaforma per turbina eolica galleggiante del gruppo Saipem anticipa una scommessa importante per il futuro di Napoli: è la prima nel Mediterraneo”.
 
C’è il Pnrr.
 
“Ci sono le risorse. Ora tocca alle istituzioni essere all’altezza per utilizzarle”.
 
Il direttore del dipartimento di Architettura della Federico II, Michelangelo Russo, ha scritto su Il Mattino che “il Pnrr può cambiare il volto della città a condizione che gli interventi siano armonizzati e resi coerenti da un Piano Urbanistico efficace e aggiornato”.
 
“L’ultimo è vecchio di 18 anni, ha perfettamente ragione”.
 
Dai primi passi, che ne dice?
 
“Sulla Città Metropolitana, il sindaco Manfredi ha fatto benissimo ad impostare un lavoro su 5 grandi progetti divisi per zona omogenea. Il piano De Magistris che metteva dentro di tutto di più non serviva a niente”.
 
Lei ha scritto che ora Napoli e la sua area metropolitana devono “pensare in grande”, come Marsiglia. Una città che “per il ruolo che deve avere Napoli nel Mediterraneo, suona come una sveglia”.
 
“Sì, è così”.
 
E cosa l’ha spinta a lanciare quest’avvertimento?
 
“Al di là del potenziamento del porto, un piano del comune marsigliese per l’edilizia scolastica: segno che puntano molto sull’istruzione”.
 
A Napoli, in alcuni quartieri, si raggiunge il 40% di evasione scolastica.
 
“E’ un tema importantissimo. Nel libro se ne sono occupati Marco Rossi Doria, Cesare Moreno, Geppino Fiorenza e Giovanni Laino”.
 
Vi siete messi in testa di “stimolare un dibattito pubblico a sostegno di una strategia di sviluppo della Città Metropolitana”. L’ottimismo non vi manca.
 
“E’ l’ostinazione della speranza, di marca hirschmaniana”.
 
Per Biagio de Giovanni, Napoli non è un posto per dibattiti. Anzi: qui si nota la povertà dello spazio pubblico del confronto.
 
“Per le cose facili è inutile impegnarsi. La nostra sappiamo che è un’operazione complicata, nient’affatto accademica. Ma se i 32 si attivano, a cominciare dalle presentazioni del libro che ho in mente di fare nei vari quartieri, possiamo stimolare un certo confronto, creare una sorta di forum permanente che si sviluppa dal basso attorno al destino della nostra città”.
 
L’urbanistica è democratica?
 
“Dovrebbe sforzarsi di esserlo. Da un lato, spinge a conoscere meglio i problemi del territorio; dall’altro, dovrebbe raccogliere stimoli e idee. Questo è il senso del libro che, non a caso, raccoglie anche pareri fra loro contrastanti”.
 
Manfredi ha già deciso che bisogna rivedere il Piano Regolatore: “Uno strumento ormai vecchio, pensato per la Napoli del 1990: noi dobbiamo guardare alla Napoli del 2050”. Ha citato le sue stesse date.
 
“Tornando al paradigma glocale di Perulli, l’Università è oggettivamente un soggetto glocale. E Manfredi, dopo averla guidata, può sicuramente imprimere una svolta in questa direzione anche al governo della Città metropolitana”.
 
Per ora, vede poche gru e tanti ponteggi senza cantieri.
 
“Ha ragione. Ma l’esempio del polo di San Giovanni fa ben sperare. E’ la prova provata che lui, l’assessore Edo Cosenza, Giorgio Ventre hanno ben chiaro come agire”.
 
E’ l’ora del pragmatismo. E, a tal proposito, ha notato che, per la prima volta, a guidare l’assessorato all’urbanistica del Comune c’è una donna, Laura Lieto. E, contemporaneamente, a capo dell’associazione costruttori di Napoli ce n’è un’altra: Federica Brancaccio.
 
“Non sono un femminista scatenato. Ma le sensibilità, l’intelligenza e il pragmatismo femminili, in urbanistica, sono indubbiamente una risorsa preziosa. Lo dico anche con un pizzico di orgoglio perché Laura Lieto è stata la mia allieva prediletta unitamente a Michelangelo Russo, l’attuale direttore del Dipartimento di Architettura”.
 
Poche idee, ma chiare.
 
“Spero molte e buone. Abbinate a capacità operativa”.
 
Qual è l’idea, la trasformazione urbana su cui puntare e che cambierebbe Napoli?
 
“Bagnoli”.
 
De Luca vuole trasformare l’area della ferrovia impiantandoci una nuova sede della Regione.
 
“Sperando che non si limiti alla sua sfrenata passione per le archistar”.
 
Sostiene che si fa politica per lasciare segni tangibili di cambiamento sul territorio. Altrimenti, è meglio starsene a casa.
 
“Lo capisco, è anche vero. Ma se il risultato è il Crescent, non saprei”.
 
Se ne riparla all’uscita del libro.
 
“Dopo l’elezione del Presidente della Repubblica. Quando la gente non sarà distratta”.