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NAPOLI. Finita in manette, giovanissima, all’epoca della sua relazione con il nuovo boss a capo del “sistema” pianurese, era stata accusata di essere la cassiera del clan. Per la Procura di Napoli, Simona Luongo, oggi ex convivente del ras ergastolano Salvatore Marfella, dopo l’arresto di quest’ultimo avrebbe assunto la piena gestione del tesoro illecito dell’organizzazione. Finita agli arresti domiciliari nel marzo del 2017 per favoreggiamento reale, la 26enne ha visto però sgretolarsi ogni accusa formulata a suo carico. I giudici dell’11esima sezione penale del Tribunale di Napoli l’hanno infatti assolta perché il fatto non sussiste.
Con il verdetto emesso ieri mattina cala dunque il sipario sul processo di primo grado celebrato con il rito ordinario. Luongo, dopo l’arresto subito nella maxi-retata che due anni e mezzo fa decapitò il clan Marfella-Pesce, ha infatti deciso di andare incontro al dibattimento per far valere le proprie ragioni. Interrogata in aula, la 26enne di Pianura ha respinto con fermezza ogni addebito. Innanzitutto ha sostenuto di non sapere nulla in merito alle presente “istruzioni” che il clan le avrebbe impartito, dopo di che ha affermato di aver troncato ogni tipo di rapporto con l’ex compagno Salvatore Marfella e con gli uomini del suo gruppo. Luongo ha poi smentito di aver mai ricevuto soldi o “pizzini” dagli emissari della cosca. Dal canto suo la Procura ha invece fatto leva su alcune intercettazioni ambientali effettuate in carcere, che vedevano protagonista proprio Salvatore Marfella. In quelle conversazioni il figlio del capoclan Giuseppe parlava di volta in volta con il fratello Mario, con l’affiliato Enzo Romano oppure con l’allora fidanzata Simona Luongo. Forte di quelle registrazioni la pubblica accusa aveva dunque invocato per l’imputata una condanna a due anni. Un’istanza che è però irrimediabilmente caduta nel vuoto. I giudici dell’11esima sezione, accogliendo a pieno la linea della difesa, hanno infatti assolto la 26enne perché il fatto non sussiste. Vale la pena ricordare che l’ormai ex imputata, dopo gli iniziali arresti domiciliari, era già riuscita a ottenere il beneficio del solo obbligo di firma.