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Napoli – “Se ci arrendiamo sarà una sconfitta per tutti e per tutto lo Stato. Perde la gente perbene di questo Paese, la fabbrica come luogo fisico è nostra. Ha camminato sulle gambe delle nostre famiglie. Non è da buttare e noi non ci faremo rottamare. A qualunque costo qui si continuerà a combattere. Siamo stati lavoratori leali, ci stanno calpestando come se fossimo figurine di carta“. Con queste parole cariche di dolore e rabbia un’operaia di Whirlpool Italia, in un’intervista pubblicata oggi dal quotidiano “Repubblica”, dopo l’annuncio della multinazionale americana di cessare la produzione nello stabilimento napoletano di via Argine a partire da novembre.
Fallita la trattativa con il governo, “sta montando una grande rabbia. Insieme al senso di impotenza. Non vale l’accordo del 25 ottobre 2018, con cui la Whirlpool garantiva al governo gli investimenti per Napoli, eppure è dopo quel pezzo di carta che tanti miei colleghi hanno contratto un mutuo, hanno fatto sposare un figlio, acquistato un’auto, deciso una ristrutturazione. Ricordo i sorrisi e la festicciola in azienda“. Ma, a maggio, la cancellazione dello stabilimento di Ponticelli: “Sì, solo sette mesi dopo. Così io, quasi alla soglia dei 50 anni, insieme a tanti, scopriamo che siamo dentro un mondo diverso, non c’è Italia, non c’è Europa, non c’è tutela. È solo la legge del più forte, è la giungla. Per questo, ribadire la chiusura oggi, significa sputare addosso a noi 420 operai, sputare addosso ai mille dell’indotto che scivoleranno in una lenta disperazione. Qui ho appreso la dignità del lavoro, le regole, l’orgoglio, il senso della meritocrazia. I nostri padri facevano a gara a non prendersi neanche un giorno di malattia. E venivano premiati. Questa era responsabilità collettiva. E ora ci tradisci così, Mamma Whirpool?“.
Intanto stamattina è intervenuto ai microfoni di Radio Crc Alessandro Magnoni, direttore Comunicazioni Whirlpool: “È una vicenda lunga questa, nata 138 giorni fa. Mi riferisco al giorno 31 maggio, quando abbiamo dato aggiornamenti sul piano industriale firmato nell’ottobre dello scorso anno. Quando l’azienda ha preso coscienza della crisi del prodotto nel nostro stabilimento di Napoli, lo ha reso noto. Al contempo abbiamo trovato una soluzione. Un piano di riconversione, assicurando i livelli occupazionali attualmente presenti. Questo provvedimento non ha ancora trovato riscontri all’interno dei sindacati e dei Ministeri. Non abbiamo mai avuto la sensazione che il governo avesse dato la giusta importanza alla situazione. Dal prossimo 1 novembre l’azienda terminerà la sua attività nel sito produttivo di Napoli. La procedura di riconversione prevede l’elemento della consultazione, abbiamo ancora dieci giorni dinanzi a noi per permettere a chiunque, delle parti coinvolte, di contattarci, sedersi accanto a noi, per condividere cosa c’è dietro la procedura. L’ottimismo ci guida da mattina a sera. L’azienda è qui pronta ad accogliere qualsiasi appello. Dobbiamo continuare a preoccuparci, giorno per giorno, della salvaguardia di 400 famiglie. Il nostro assetto produttivo si comporta di 3-4 grandi Paesi: l’Italia, la Polonia, la Turchia, la Slovacchia, la Russia. La strategicità dell’Italia l’abbiamo ribadita tantissime volte. L’unico problema che abbiamo in Italia riguarda il prodotto fatto a Napoli“.