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Napoli – Spegne oggi 86 candeline Giuseppe Borrelli meglio conosciuto come “Nonno Whirlpool”. Ex operaio dello stabilimento di via Argine dove ha lavorato per ben 35 anni.

Nonostante l’età anche lui si unisce alla lotta dei lavoratori di oggi, spegnendo le candeline al grido di “Napoli non molla!”. Nonno Giuseppe è sicuramente la miglior testimonianza che la lotta paga e che le battaglie, anche se complicate, si possono vincere. Il neo 86enne è stato infatti uno dei protagonisti della lotta operaia contro la chiusura della fabbrica già negli anni ’70. “Dopo tre mesi di lunga lotta vennero in fabbrica Berlinguer, Marino e Napolitano e ci dissero: ragazzi abbiamo vinto”.

La sua storia e quella della sua famiglia è infatti indissolubilmente legata alla fabbrica di Napoli Est. Proprio all’interno dello stabilimento di lavatrici sua figlia, Lina Borrelli, ha conosciuto il suo attuale marito Francesco Petricciuolo. Una storia d’amore, nata in fabbrica, che oggi continua nella lotta contro la chiusura del sito.

Perché dietro quella sciagurata x rossa posta dalla Whirlpool su Napoli ci sono storie ed intrecci bellissimi che è giusto raccontate.
Per questo vi riportiamo, in maniera integrale, l’intervista realizzata dai familiari al “Nonno Whirlpool” affinché la sua storia possa arrivare anche a chi, in questi periodi, sta remando verso la chiusura della fabbrica.
La storia:
Come ti senti oggi?
-cosi così
Cosa c’è che non và?
-a man tremm e mi fa male
Che cos’è quel vuoto che hai li tra pollice ed indice?
-sapisse piccerè se cunsumat
Come si è consumato, che hai fatto?
-e stat a fatica, a fatica assaje
Che lavoro facevi?
o carrellist, guidavo o’ mulett e o’ pomello do sterzo ma cunsumat l’osse.
Caspita e perché ti ha consumato le ossa?
quann sono entrato a faticà e mulett non erano com’ e mò o sterzo primm eran tuost e rote nun giravan, quann turnava a case a mane abbruciav
E non potevi lamentarti con il tuo capo?
lamentarti? No, nun putev
Perché non potevi lamentarti?
nun se puev fa’, a fatica ch’ella era
Capisco, quanti anni sei stato sul muletto?
piu e trent’anni
Dove lavoravi?
Arò faticav? All’Ignis la fabbrica di lavatrice
Ti va di raccontarmi un po’ la tua storia?
a storia mia? (sorride) e stat na guerra
assiettete piccerè ca’ storia è long assaje:
” La mia famiglia era numerosa, eravamo 6 figli, mio padre lavorava nella Smeg ma la paga non bastava, soffrivamo la fame e ci arrangivano con quello che c’era senza lamentarci, abituati alla sofferenza della guerra, quel poco che avevamo era già tanto. Subito dopo il servizio militare in marina iniziai a lavorare nei campi in cambio di un qualcosa da portare a casa e qualche spicciolo.
Mio fratello più grande, Ciro, seppe che c’era una nuova fabbrica a Barra, nel nostro stesso quartiere, cercava operai, l’Ignis Sud, si presentò e fu assunto.
Qualche mese dopo, decisi di provarci anche io.
Un mattina di Agosto del 1964 di buon ora mi presentai ai cancelli della Ignis, chiamai i guardiani e mi accompagnarono all’ufficio del direttore bussai ed entrai:
” buon giorn direttò scusateme, je vulesse faticà diciteme c’aggia fà”
Direttore: noi cerchiamo operai specializzati tu che sai fare
direttò io in verità saccio sulo scupa n’terr
Il direttore mi guardò si mise a ridere e mi disse:
Eh questo pure serve, la prossima settimana vieni a lavorare.
La settimana dopo mi presentai a lavoro mi venne a prendere il capo reparto del magazzino generale il Sig. Maggetta, da quel giorno iniziai il mio lavoro lì in quello stesso reparto fino a quando non sono andato in pensione.
Scaricavo i camion a mano, selezionando il materiale per modello, il lavoro era molto massacrante, ricordo quando scaricavamo i contrappesi di ghisa 11 kg al pezzo e dovevamo sistemarli per bene su di una pedana in 5 minuti, lavoravamo come animali. Dopo molti anni arrivarono i muletti e li ho cominciato a consumare la mia mano. Abbiamo fatto una vita di sacrifici, lavorato duro ma anche lottato tanto, proprio come voi. All’inizio degli anni 70 ci fu comunicato che la fabbrica sarebbe stata chiusa.
Eravamo quasi 1500 operai ci chiudemmo dentro in fabbrica e la occupammo. Formammo delle squadre, organizzammo le ronde che giravano il perimetro, altri, invece, difendevano i cancelli dalla polizia che tentava di entrare. Le famiglie dai cancelli ci portavano il cibo mentre la popolazione locale ci sostenevano moralmente.
Dopo tre mesi di lunga lotta vennero in fabbrica Berlinguer, Marino e Napolitano e ci dissero: “ragazzi abbiamo vinto” fu una vittoria che ha mantenuto la fabbrica fino ad oggi aperta e voi dovete continuare a lottare proprio come abbiamo fatto noi in quegli anni. Quella fabbrica è nostra e noi vecchi l’abbiamo lasciata a voi e voi, nostri figli, dovete difenderla con i denti, non dovete mollare mai.