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Napoli – Il centro degli affari del clan Puca era il comune di Sant’Antimo, non solo intesa come area geografica ma proprio come sede dell’istituzione cittadina.

La cosca controllava con solo l’ufficio tecnico comunale che rilasciava le autorizzazioni a costruire tramite il dirigente dell’ufficio, Claudio Valentino, finito in carcere con i fratelli di Luigi Cesaro in un’inchiesta della procura di Napoli, ma anche la vita politica. Come? Facendo eleggere i consiglieri comunali graditi, facendo cadere i sindaci eletti, minacciando chi non si piegava, ostacolando le nomine dei dirigenti scomodi.

Lo ricostruisce il gip Maria Luisa Miranda che ha firmato l’ordinanza con la quale ha arrestato 59 persone e iscritto nel registro ben 103. Uno dei personaggi più influenti, secondo la ricostruzione del magistrato, è Francesco Di Lorenzo, ex consigliere comunale, imprenditore e uomo vicino ai clan. “Ha svolto il ruolo di interfaccia e referente politico del clan Puca per almeno un decennio dal 2007 al 2017”. In particolare avrebbe messo “a disposizione i locali del proprio esercizio commerciale a riunioni organizzate dal vertice del clan Puca nel corso delle quali venivano affrontate tematiche fondamentali per le attività del clan quali la ripartizione dei lavori edili sul territorio ed i soggetti che si sarebbero dovuti occupare della gestione dei proventi delle attività illecite”.

Ma soprattutto era da lui che passavano tutte le autorizzazioni a costruire. Lui rilasciava autorizzazioni solo a fronte di soldi.

Poi c’era Nello Cappuccio, ex consigliere comunale, che è accusato di aver turbato le elezioni comunali del mese di giugno del 2017 comprando voti con l’appoggio dei referenti camorristici del clan Puca.

Il gip ricostruisce anche i tentativi del clan Puca di far cadere la maggioranza che reggeva il sindaco Aurelio Russo per procedere così a nuove elezioni, chiaramente da loro controllate. E così viene ricostruito il passaggio di soldi da Francesco Di Lorenzo e Corrado Chiariello, ex consigliere, a Ferdinando Pedata (indagato) di 6 mila euro “con lo scopo di provocare lo scioglimento del consiglio comunale di Sant’Antimo votando una mozione di sfiducia al Sindaco e dimettendosi dalla carica di consigliere comunale e così facendo venire meno i presupposti per la sussistenza del numero legale necessario per il funzionamento del Consiglio comunale”.

Tutto ciò avveniva il 12 giugno del 2018. Ma non è tutto. Per condizionare le scelte di altri due consiglieri comunali che non volevano piegarsi alle richieste di far cadere il numero legale. In un’altra occasione, contestata sempre nell’ordinanza di custodia cautelare, Agostino Russo, Camillo Petito e Armando Angelino, Stefano Fantinato e Salvatore Saviano, esponenti del clan Verde, danneggiavano lanciando una bomba artigianale, l’immobile in via Dante a Sant’Antimo di proprietà di parenti di un ex consigliere comunale e un altro in via Scarlatti dove abitava un altro consigliere ostile.

L’obiettivo era quello di farli dimettere da consiglieri “o comunque a far venire meno i presupposti per la sussistenza del numero legale necessario per il funzionamento del consiglio comunale, determinandone lo scioglimento”.