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Napoli – Il pentimento di Pasquale Pesce si preannuncia come un terremoto in grado di azzerare un decennio di camorra flegrea. Ed è lo stesso capoclan, ascoltato dagli inquirenti della Procura antimafia, a spiegarne le ragioni: «Sono in grado di riferire di tredici, quattordici omicidi. Della metà di questi sono direttamente a conoscenza». Per intenderci, l’intera faida di Pianura, quella divampata tra l’estate del 2013 e l’inverno del 2016, vale qualcosa come venti agguati. Il 41enne “’e Bianchina” vuota il sacco partendo da un delitto eccellente: «Quando ero detenuto ho appreso della morte di Giuseppe Perna. Ero preoccupato di sapere chi lo avesse ucciso. Durante uno dei colloqui feci segno a Vincenzo Foglia portandomi una mano al petto per intendere se fosse stato un omicidio “interno”. Lui mi rispose con lo stesso gesto, dicendo con il labiale che era tutto a posto. Mi fese capire che sì, era stata una cosa interna al clan».

Ecco i primi stralci del verbale relativo all’interrogatorio reso dal capoclan pianurese nel corso dell’interrogatorio dello scorso 12 luglio. Incalzato dalle domande del sostituto procuratore della Dda Francesco De Falco, il neocollaboratore di giustizia Pasquale Pesce parla quindi dell’omicidio di Giuseppe Perna, il ras del clan Pesce-Marfella assassinato il 5 marzo del 2016 in via Torricelli, a Pianura. Oggi, a distanza di un anno e mezzo, quel delitto di prim’ordine potrebbe non essere più un giallo. A questo punto, prima di proseguire nel racconto, è però bene precisare che tutte le persone tirate in ballo da “’e Bianchina” vanno ancora considerate del tutto estranee ai fatti, almeno fino a prova contraria. Nella fattispecie, inoltre, le informazioni riferite dall’ormai quasi ex boss sono state apprese de relato. Un motivo in più per maneggiare con cura quel potenziale materiale probatorio. All’epoca dell’omicidio Pasquale Pesce si trovava infatti già da qualche tempo dietro le sbarre. Circostanza, quest’ultima, che pare non gli abbia comunque impedito di ricostruire la dinamica dell’agguato e di identificare i responsabili. Ecco il suo racconto agli inquirenti: «Quando ero detenuto ho appreso della morte di Giuseppe Perna, nostro affiliato. Ero preoccupato di sapere chi lo avesse ucciso. Tramite i colloqui in carcere che Vincenzo Foglia aveva con il figlio Giuseppe, mentre io avevo il colloqui con la mia convivente Rita Pepe, sapemmo che sul luogo del delitto, fuori al biliardo, erano presenti Vincenzo Foglia, Salvatore Schiano, Carmine Perna e Giuseppe Perna, il quale per ultimo si allontanò per ritirare dei panini al pub di un certo Ernesto». A questo punto il neopentito entra nei dettagli del raid: «Sapemmo anche che i killer entrarono dall’uscita di sicurezza e Perna, pur accorgendosene, non ebbe il tempo di reagire». E le novità non sono affatto finite qui: «Durante uno di questi colloqui feci segno a Vincenzo Foglia, portandomi una mano al petto per intendere se fosse stato un omicidio “interno” e questi mi rispose con lo stesso gesto, dicendo con il labiale che era tutto a posto, facendomi così capire che era stata una cosa interna al clan». Vincenzo Foglia, stando almeno al racconto del 41enne, non sarebbe stato soltanto a conoscenza di quel retroscena. Ne sarebbe stato addirittura il regista: «Ritengo che sia stata un’iniziativa di Vincenzo Foglia, in quanto in quel momento, essendo i capi tutti detenuti, era lui a gestire gli affari del clan Pesce-Marfella». Una deduzione che in futuro, qualora gli inquirenti arrivassero a un successivo riscontro investigativo, potrebbe spalancare le porte a uno scenario del tutto inedito.
Il 40enne Perna, già nelle ore subito successive al delitto, venne inquadrato come un soggetto che stava rapidamente scalando le gerarchie del clan Pesce-Marfella. Un’ascesa, si ipotizzava all’epoca, che avrebbe potuto causare delle gravi frizioni con gli storici rivali della famiglia Lago, ma anche con i Giannelli di Cavalleggeri e i Sorieniello del rione Traiano. A qualcuno di loro poteva aver pestato i piedi, soprattutto sul fronte del traffico delle sostanze stupefacenti, e per questo sarebbe stato punito con un’inappellabile sentenza di morte. Ma alla luce di quanto appena rivelato dal neopentito Pasquale Pesce, le cose sarebbero andate invece in maniera molto diversa. Perna potrebbe sì aver commesso un passo falso con la persona sbagliata, ma quella persona va adesso ricercata altrove. Nel cuore del clan Pesce-Marfella.
 
Luigi Nicolosi