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Napoli – Promuovere interventi che non arrechino danni alle donne e non sottopongano i figli a vittimizzazione secondaria, ma che promuovano la riabilitazione e favoriscano la prevenzione della violenza. Questi i contenuti salienti del ‘Protocollo Napoli‘, il documento sul tema della consulenza psicologica nei procedimenti giudiziari per separazione e divorzio sottoscritto nel corso del convegno organizzato dal dipartimento di Studi umanistici dell’Università Federico II e patrocinato dall’Ordine degli Psicologi della Campania. Il testo è stato sottoscritto da Caterina Arcidiacono, docente di Comunità e Psicologia della famiglia alla Federico II; Antonella Bozzaotra, psicologa dell’Asl Na1 e presidente dell’Ordine degli Psicologi; dalla psicologia Gabriella Ferrari BravoElvira Reale, responsabile del Centro Dafne dell’ospedale Cardarelli; Ester Ricciardelli, psicologa dell’Asl Na1 – Sportelli antiviolenza del pronto soccorso. 
 
“Il Protocollo nasce dal confronto tra cinque professioniste psicologhe – sottolinea Bozzaotra – impegnate da molti anni e con differenti funzioni in azioni di contrasto alla violenza di genere, che guardano al fenomeno da una prospettiva privilegiata e sono testimoni degli aspetti di vittimizzazione secondaria di donne e minori che si consumano ogni giorno”. 
 
“Partendo dalle norme e dai principi contenuti nella Convenzione di Istanbul – spiega Arcidiacono – il documento siglato a Napoli afferma alcuni principi: la necessità di separare il momento della valutazione psicologica da quello della terapia e del trattamento, considerare sempre la possibilità di violenza in situazioni di altre conflittualità e assumere misure idonee, considerare il minore come attore e rispettarne desideri e volontà, non considerare teorie come quella dell’alienazione genitoriale a prescindere dal motivo scientifico”.
 
“Considerando che l’evoluzione si è avviata a fine anni ’90 – fa notare Valeria Valente, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta su Femminicidio e violenza di genere – L’impianto normativo è sufficiente, esistono gli strumenti per tutelare le donne e per avviare una prevenzione significativa, quindi attuare la Convenzione di Istanbul. Ma oltre alle norme è altrettanto fondamentale la formazione di tutti gli operatori coinvolti e lavorare sulla mentalità diffusa, saper leggere questo fenomeno per poterlo aggredire”.