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Napoli – E’ la notte tra il 27 e il 28 settembre del 1943 quando Radio Londra lancia la notizia di una rivolta operaia nel “sobborgo di PonticelliNapoli”.

La voce dello speaker è tentennante, ancora probabilmente scossa dalle tensioni della guerra, dal Regno Unito non si può di certo neanche immaginare che nel neonato quartiere napoletano, appena accorpato alla città partenopea come volere del regime fascista, si sta per scrivere una pagina indelebile di storia, della nostra storia.

Ponticelli, quella sera, sta per diventare il primo quartiere d’Europa a ribellarsi – autonomamente – all’oppressione nazifascista. Stanno così per iniziare le “Quattro giornate di Napoli”.

E’ notte inoltrata quando da oltre manica l’emittente radiofonico che per l’occasione – in vista della censura sulle radio nazionali posta dal Duce – fa trasmissioni anche in italiano rompe gli indugi del momento per concedere spazio a quello che sta accadendo a Napoli Est. “Nel sobborgo operaio di Ponticelli – Napoli, la popolazione in armi sta combattendo casa per casa, contro l’infame oppressione nazifascista”.

Il quartiere di periferia, dopo la rivolta del 25 luglio 1943 che causò una sanguinosa occupazione nazista dell’area, sta difatti per cacciare gli occupanti.
Cittadini, operai ed anche giovanissimi studenti insieme agli antifascisti iscritti al clandestino Partito Comunista Italiano, ormai esasperati, raccolgono insieme tutte le energie e con armi e mezzi di fortuna partono all’assalto dei nazisti.

Una scintilla scoppiata nella zona orientale della città partenopea che da il via alla miccia della dinamite della resistenza, la stessa che nelle ore seguenti si espanderà su tutta la città di Napoli.

Da Ponticelli, passando per la centralissima via Foria, si arriva sulla collina del Vomero. Ormai i napoletani si sentono uniti nella lotta e la miccia diventa sempre più corta: sta per scoppiare la rivolta.

Saranno quattro giorni di sangue, la rivoluzione non è certamente una cosa semplice e in tantissimi, anche i più giovani, pagheranno il costo della rivolta con la propria vita.
I tedeschi sono più attrezzati ma i napoletani sono di gran lunga più tenaci e così, anche con poco, i nazisti iniziano a capire che in città stavolta si respira davvero l’aria del cambiamento.

Si combatte alla meglio, anche con lanci di sedie e mobili delle case dei vicoli alla vista dei battaglioni delle SS, si bloccano le strade d’accesso al capoluogo campano e si costruiscono molotov di fortuna.

Così per quattro lunghissimi giorni la città diventa campo di battaglia. Fino al 30 settembre del 1943 quando anche l’esercitò nazista sarà costretto a issare la bandiera bianca.

Uno striscione in memoria delle “Quattro Giornate” esposto in piazza del Gesù a Napoli

Per la prima volta – l’unica nella storia – l’esercito tedesco è costretto ad abbandonare l’area occupata per mano di una rivolta cittadina partita da un quartiere popolare composto prettamente da umili lavoratori.