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Le basi per questo splendido trionfo furono gettate diversi mesi fa, quando il Covid non era ancora un nemico. Il 26 gennaio, allo stadio San Paolo, Gennaro Gattuso mise in trappola Maurizio Sarri costringendolo a un rientro a testa bassa. Sembrano passati anni, ma per il calendario sportivo è poco più di ieri. Finì 2-1, gli azzurri vinsero con merito giocando una gara pressoché perfetta. 

Squadra corta, iniziativa lasciata agli avversari, letture precise e spazi intasati. E’ bastato questo a ‘Ringhio’ per servire il bis della vittoria in campionato. E se la fortuna nei novanta minuti non avesse deciso di voltargli le spalle, avrebbe potuto addirittura brindare nei minuti di recupero senza attendere i calci di rigore. Poco male, considerando come è andata a finire. Quell’immagine che lo ritrae con la coppa insieme ai suoi ragazzi nel deserto di Roma la custodirà per sempre.  

Sì, perché quella dell’Olimpico è la vittoria di Gattuso. Colpito da un grave lutto familiare lo scorso 2 giugno, non ha mollato di un centimetro provando a onorare l’amore per la sorella Francesca con il lavoro quotidiano, con lo spirito di sacrificio divenuto nel tempo il suo indistinguibile marchio di fabbrica. E’ lui l’anima di un Napoli rinato, che ora non si pone limiti. Un Napoli che si identifica non soltanto nella pregevole normalità di Diego Demme e nella qualità di Insigne, ma anche nel tempismo di Maksimovic, nella fisicità di Koulibaly e nell’intraprendenza di Mario Rui, tanto per citare tre giocatori dati per finiti o arrugginiti troppo presto. 

Se questo Napoli fosse il titolo di un film, la didascalia perfetta sarebbe “dall’ammutinamento alla coppa”. Un percorso per certi versi incredibile, una crescita inattesa quanto sorprendente, una riscoperta di valori morali di un gruppo che aveva soltanto bisogno di ritrovare se stesso. Siamo onesti: dopo il cataclisma post-Salisburgo e l’esonero di Ancelotti erano in pochi a scommettere che la storia sarebbe cambiata così in fretta. Ok la cifra tecnica, ma ciò che stupisce di più è l’abnegazione: titolari o riserve fa poca differenza, ognuno entra e incide. Soffre, perché c’è sempre da soffrire. Ma poi si rialza, continua a lottare, esulta. Con gli occhi lucidi e il cuore pieno di vita. Proprio come Ringhio.