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Di Ornella d’Anna

Napoli –  Quando si parla di salute mentale, a Napoli, si apre una voragine fatta di lungaggini burocratiche, mancanze, scarsa attenzione, casi “limite” e tragedie annunciate. Scoperchiando il “vaso di Pandora”, ossia il tappo dell’indifferenza che copre l’argomento, ci si affaccia su un mondo molto vasto, pieno di “se” e di contraddizioni che riguardano i tre soggetti principali coinvolti: operatori, famiglie e (messi per ultimi non a caso) ammalati.

 I “Se” sono quelli delle famiglie: chi sta accanto a un paziente affetto da disturbi mentali convive con il terrore di non “fare abbastanza” e cerca non solo la “medicina giusta” ma risposte e, soprattutto, sostegno. Le contraddizioni, quelle della sanità tutta. Per spiegare a che punto è la situazione, basta consultare i dati: i posti letto in psichiatria, per legge dovrebbero essere più di 100, invece sono meno di 50; le strutture territoriali, su 10mila abitanti, sono l’equivalente di 1,06 a fronte del 3,6 di media nazionale; la spesa stimata per l’accoglienza del paziente e la capacità di creare una rete di supporto psicologico è del 30% in meno rispetto al resto d’Italia.

A livello di struttura, rispetto alla Asl Napoli centro che è quella che ci riguarda, i direttori erano 10” – spiega Sandro Riccio, rappresentante della Consulta Popolare per la Salute e la Sanità, organo istituito con decreto sindacale dal Comune -. “Invece ora sono 5. Tutti i servizi che abbiamo visitato lamentano difficoltà a seguire la massa di persone che arriva. Però questo dà adito al personale di dire che le cose non funzionano perché non ci sono fondi. Non è così: il problema è la presa in cura del paziente mentale che è fatta solo con le medicine, mentre la sofferenza, tranne in casi davvero gravi, andrebbe seguita con un percorso psicologico”.

La verità è che le cure farmacologiche possono fino a un certo punto: la medicina difensiva, spiegano dalla Consulta, da sola non basta. Non solo non guarisce la malattia ma, anzi, in certi casi aggrava situazioni pregresse di fragilità. Come è stato per E., il ragazzo di 28 anni affetto da disturbo dell’umore trovato morto nel suo letto dalla madre non si sa ancora bene perché.

Della sua storia si sono occupati tutti i giornali locali ma, senza un’autopsia (il corpo è stato cremato prima di qualsiasi accertamento) restano a fronteggiarsi solo le posizioni della madre – che accusa i medici di aver dato al figlio farmaci troppo forti – e quelle del personale medico – che sottolinea che il ragazzo facesse anche uso di stupefacenti e rivendica di aver svolto un buon lavoro. “Lavoriamo sia come elemento di denuncia sia in modo più ampio, occupandoci di ‘diritto alla salute’. Diritto alla salute mentale significa una presa di coscienza, da parte del sofferente, di quali sono i suoi diritti, ad esempio chi può obbligare al TSO, quali sono le controindicazioni dei farmaci” – prosegue Riccio -. “Stiamo anche lavorando per essere riconosciuti dalla Giunta, così da poter sopravvivere al cambio di consiliatura”.