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Napoli – Selfie è il titolo scelto dal regista Agostino Ferrente per il suo documentario, interamente girato in soggettiva, dai due protagonisti. Il lavoro di Ferrente assume la prospettiva particolare dei raccontati, che raccontano Napoli attraverso i loro occhi. Ferrente costruisce il film interagendo con Alessandro e Pietro, due ragazzi del Rione Traiano, a cui ha proposto di riprendersi con lo smartphone, per parlare del loro quotidiano, della loro amicizia, del quartiere in cui vivono e della tragedia accaduta nel 2014,quando il giovane Davide muore per uno scambio di persona. Regista e sceneggiatore, Ferrente ha diretto i due protagonisti dando loro indicazioni e provocandone le reazioni, lasciandoli comunque liberi di agire e di parlare, in questo modo il suo ruolo diventa anche quello di primo spettatore del film, col privilegio di poterlo cambiare in corso d’opera. Ferrente spiega che l’uso del telefono diventa didascalizzazione delle metafore…loro che si riprendono e si guardano allo specchio, nel display del cellulare, è un modo per guardare la vita alle loro spalle, materialmente si vede quello che c’è alle loro spalle, non si vede il futuro. Racconta la sequenza in cui i due ragazzi affrontano una salita…c’è la salita e l’affanno, la vita in salita. L’affanno lo si adopera nelle metafore…dice per spiegare l’importanza del momento in cui Pietro, il più grosso, sente sempre di più il peso di quella strada. Continua dicendo che il film è raccontato materialmente dal loro punto di vista, sugli occhi che vedono e non su ciò che vedono, che un po’ ce lo immaginiamo perché c’è stato un po’ di accanimento di cinema, televisione e letteratura su Napoli…La sua è dunque una visione diversa, che eludendo alla vista racconta ancora di più…non inquadriamo la luna ma il dito. Un lavoro intenso e commuovente, girato con rispetto, come strumento di massima espressione di libertà.

Emanuela Zincone