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Napoli – Se fosse possibile stilare una hit parade dei testi teatrali contemporanei più rappresentati, “Shakespea Re di Napoli” sarebbe saldamente sul podio. Lo spettacolo, che da 26 anni e oltre 2000 repliche attraversa i palcoscenici dei teatri italiani ed esteri, va in scena per la prima volta in assoluto al Globe Theatre di Roma, in Villa Borghese, dal 2 al 6 settembre.

Il testo di Ruggero Cappuccio, pubblicato nella Collana Classici Einaudi, è interpretato, oggi come allora, da Claudio Di Palma e Ciro Damiano. La messinscena, nata al Festival di Sant’Arcangelo diretto da Leo De Berardinis nel 1994, ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti internazionali e continua ad affascinare platee e generazioni diverse.

Shakespea Re di Napoli – spiega Cappuccio – nasce da questo perché. La morte è quel sogno ad occhi chiusi che nella vita facciamo ad occhi aperti. Il mio difetto è credere solo negli aldilà, oltre il visibile, oltre il reale, la parola, il teatro. Siamo nei primi anni del Seicento. Desiderio torna a Napoli dopo un avventuroso naufragio e riabbraccia il suo vecchio amico Zoroastro. A lui racconta di aver vissuto a lungo a Londra e di essere diventato il più grande interprete dei personaggi femminili del grande drammaturgo inglese. Zoroastro è incredulo, sospetta che Desiderio stia narrando una delle raffinate menzogne cui lo ha abituato fin da ragazzo. La sfida interiore tra i due amici va avanti tra altissima poesia e tagliente comicità, mentre il mistero si estende progressivamente sulle loro vite“.

Così, nella storia appaiono misteriosi fotogrammi – aggiunge ancora il regista – Le sabbie, il Seicento, la peste, un quadro, un baule, l’inchiostro sbiadito dei Sonetti di Shakespeare. Una nave affondata. Un anello perduto. Desiderio e Zoroastro, due amici sorpresi nell’abbraccio di un addio e di un ritorno. E ancora, l’Inghilterra, il genio, la bellezza, le lettere dell’eros del grande poeta di Stratford. Tutto fiammeggia in una lingua che è intima di un’idea della partitura, della concertazione, del suono, in cui i sensi impongono una comunicazione intuitiva fondata sull’indicibile del compositore, l’indicibile dell’interprete, l’indicibile dell’ascoltatore. Solo il non detto è degno di essere letto. Solo i silenzi possono veramente essere ascoltati“.

Il conflitto e confronto del teatro elisabettiano con le forme espressive della Napoli barocca sono i presupposti per l’invenzione di una sinfonia del dire – spiega ancora Cappuccio –specchiata in significati e ritmi che tendono alla sospensione assoluta di una storia nel tempo. La menzogna, l’indimostrabilità, la falsificazione dei fatti come gesto eversivo in grado di estendere i confini della verità sono in questa scrittura le luci che affermano e negano ogni cosa. Dopo tutto l’arte somiglia alla ricerca di prove che dimostrino eventi mai accaduti“.