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Il coronavirus cambia il modo di lavorare. E lo “Smart working” per la Pubblica amministrazione smette di essere una sperimentazione per divenire ordinario e persino un obbligo. A svolgerlo sono quasi 600mila lavoratori in tutta Italia, un numero destinato a crescere. Smart working, telelavoro, attività senza un tempo fisso e uno spazio esclusivo, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Non è più un esperimento, ma un sistema di lavoro con un quadro legale di riferimento (Legge n. 81/2017). Una circolare emanata ieri dal ministro per la Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone, lo incentiva e lo rende per-fino obbligatorio negli uffici pubblici.

“Ci voleva il coronavirus per imparare la lezione e per capirne i vantaggi”, spiega il sociologo del lavoro Domenico DeMasi, 82 anni, professore all’Università La Sapienza di Roma, in un’intervista a ‘La Gazzetta dello Sport’. Il professionista è stato il primo a credere in Italia alle potenzialità del nuovo metodo, quando nel 1993 fondò la Società Italiana Telelavoro: “Eppure in tutti questi anni c’è stata una lentezza vergognosa nel Paese nell’adottare il lavoro agile. E pensare che presenta solo vantaggi e non costa niente: il futuro va verso questa direzione, in coincidenza con l’uso della tecnologia ormai a portata di tutti”.

Ai tempi del Covid-19 lo Smart working è la soluzione per fronteggiare l’emergenza e non frenare la produttività delle aziende: “Già in un contesto normale permette di liberare le potenzialità dei lavoratori con vantaggi chiari: risparmio di tempo e soldi per raggiungere il posto di lavoro, risparmio del pericolo di incidenti lungo il percorso, più tempo per se stessi, per la famiglia e per gli amici, zero costi sull’alimentazione. Un sistema che ha pure un’intonazione ecologista, dal momento che non utilizzando l’auto si inquinameno. E le aziende, d’altra parte, possono ridurre i costi fissi”. In Italia il telelavoro stenta però ancora a decollare, “perché c’è una resistenza patologica al cambiamento e perché resiste quella che io chiamo la “Sindrome di Clinton”: i capi vogliono avere i dipendenti a portata di mano, così come Clinton voleva avere la sua stagista nella porta a fianco”.

Secondo lo schema del sociologo, col telelavoro aumenta pure la produttività: “L’Italia conta 23milioni di occupati, 16 svolgono lavoro intellettuale: almeno 10 milioni potrebbero cambiare sistema. Lavoriamo 1.800 ore l’anno, in Germania 1.400, eppure produciamo il 22% in meno rispetto ai tedeschi: il rimedio ora c’è…”