Napoli – “La prima volta che ho visto Khvicha in un video eravamo nel cuore del lockdown. Lui avrà avuto diciannove anni, ma già bravo con i piedi. C’era ancora Rino e ci piacque subito, ricordo che chiamammo Kaladze per saperne di più. Aveva fatto un passaggio al Lokomotiv Mosca, senza stupire, ma al Rubin Kazan stava andando meglio. Ci chiesero trenta milioni, chiudemmo i contatti prima ancora di iniziare una trattativa. Eravamo dietro a Osimhen, non potevamo puntare tanto su un ragazzo. Però mi rimase in testa. Quando a febbraio scoppiò il conflitto in Ucraina, lui tornò in Georgia alla Dinamo Batumi. Ci fiondammo lì con il contratto. Abbiamo chiuso per dieci milioni”. Così Cristiano Giuntoli racconta in un’intervista a ‘Il Corriere dello Sport’, il suo ultimo colpo di mercato. Kvaratskhelia non è più l’oggetto misterioso da scoprire, ma una sorgente di speranza per una città che torna a crederci. “Siamo stati più rapidi di Juve, Roma e Real Sociedad – dice il ds azzurro – perché lui non era mai uscito dal nostro taccuino”.
A Spalletti è piaciuto subito? “Sì, che fosse un talento non c’erano dubbi. Quando il ragazzo è venuto in Italia per la firma, gliel’ho mandato a casa, a Milano. Si sono intesi all’istante. Però una cosa era prendere Kvarastkhelia, un’altra era prenderlo al posto di Insigne. La scommessa era tanto, troppo impegnativa. Ma abbiamo voluto giocarla e oggi posso dire che l’abbiamo vinta”.
Otto anni a Napoli e quattro allenatori. Come ha vissuto Sarri, Ancelotti, Gattuso e Spalletti? E come li racconta? “Carlo è un aggregante straordinario, la sua forza è che non cerca mai alibi. Ha vinto tanto anche per questo. Maurizio è un ideologo, che sa fare un calcio speciale. Per questo ha fatto innamorare Napoli”. Un ideologo, ma anche un porcospino, non crede? “Sta chiuso nel mondo che si crea, parla con il gioco. Ed è poesia”. Con Gattuso è stata prosa, però: “È un trascinatore, Rino. Motiva il gruppo, più giovane degli altri e con meno esperienza. Ma molto applicato e generoso”. Se n’è andato male: “Separazione bilaterale”.
E Spalletti? “Lui sta vicino a casa mia, si parla lo stesso dialetto. Lo conosco fin da quando veniva a fare il torneo dei rioni ad Agliana. Lo stimo molto” Però qualcuno dice: vedrai che prima o poi impazzisce, com’è accaduto altrove. Lei non lo teme? “Proprio no. Da noi non accadrà. È un talento speciale, perché non ha un solo spartito. È un camaleonte, cambia l’allenamento per ogni partita. Fa un calcio liquido in fase di possesso e solido in fase di non possesso. Alterna palleggio e verticalità. È il più completo di tutti. Il Liverpool gli ha dato campo, e lui ha fatto con Klopp quello che Klopp fa con gli altri. Lo ha steso”.
Torniamo ad Ancelotti, il diplomatico, il gestore di top player, il più vincente di tutti. A Napoli è inciampato. Che spiegazione si dà? “Il suo arrivo fu una rivoluzione epocale. In uno spogliatoio di venticinque calciatori che avevano sfiorato lo scudetto con Sarri, ne cambiammo quindici in due anni”. Però il conflitto avvenne con i leader storici: “Tutti i calciatori amavano Carlo, ma inconsciamente rifiutavano i cambiamenti tattici che lui voleva imporre. Ci fu una resistenza inconscia, che qualche risultato negativo fece più forte”. Vuol dire che l’ideologia del 4-3-3 sarriano sopravvisse al suo avvicendamento? “In un certo senso sì. Restare nei vecchi schemi dava sicurezza”.
Non meno impegnativa è stata la rivoluzione di quest’anno. Voi immaginavate di dover salutare, tutti insieme, Koulibaly, Insigne, Mertens e Fabian? “Era un rischio da correre. Il coronavirus aveva messo in ginocchio le finanze, volevamo riportare il club in un circuito virtuoso. Per farlo dovevamo arretrare con i salari. Alla fine il divorzio è stato una scelta obbligata”.
Qual è il saldo tra Kvarastkhelia e Insigne? “Khvicha prende 1,2 netti e 1,7 lordi. Lorenzo 4,5 netti e 9 lordi. Faccia lei la sottrazione”. Ma al netto dei salari, De Laurentiis non ha mai amato Insigne fino in fondo, e si è convinto che era possibile fare a meno di lui, senza per questo arretrare in qualità. Alla fine ha avuto ragione? “Non è andata così. Il presidente stima Lorenzo. Ancora adesso si inviano messaggi. La separazione è stata la conseguenza di una strategia finanziaria di rientro. Lui avrebbe dovuto accettare uno stipendio più basso. Tutto qui”.
E Ronaldo lo avrebbe accettato uno stipendio da Napoli? “Durante il mercato facciamo finta di chiacchierare con tutti, e a volte facciamo per davvero. Ma noi volevamo investire su una squadra giovane”.
Non è che Navas sia molto giovane: “Navas è un’altra storia. Abbiamo ottimi rapporti con i dirigenti del PSG. Loro erano interessati a Fabian, che noi dovevamo vendere. Noi potevamo portare a Napoli un portiere di livello da affiancare a Meret. Alla fine l’operazione si è chiusa a metà”. Perché? “Non hanno trovato l’accordo sul salario con il calciatore. Sapevano che noi avevamo un tetto vincolante”.
Non si sfora neanche per un portiere di quel livello? “Non si sfora per nessuno. I calciatori nello spogliatoio si parlano. Se fai distinzioni, si viene a sapere. E non va bene”.
Quanto guadagna Navas? “Tantissimi soldi, quindici di lordo”.
Si riprova a gennaio? “No, diamo fiducia a Meret. Siamo contenti che sia rimasto. Contro il Liverpool ha fatto una grande partita”.
Niente più dubbi sulla sua fragilità caratteriale? “L’aver sopportato le pressioni estive gli ha fatto bene”.
Imparerà a giocare con i piedi e, soprattutto, a rinviare la palla a settanta metri, come riesce a Maignan? “Sta prendendo confidenza a giocare da dietro, presto curerà anche la gittata. Con gli attaccanti che abbiamo sarà utilissimo che impari”.
Zerbin è un altro piccolo miracolo? “Lo abbiamo scovato qualche anno fa nel Gozzano, faceva l’Interregionale. Con Zanoli, Gaetano e Marfella rappresenta il nostro vivaio manifatturiero”.
Il mercato del Napoli è chiuso? “A gennaio si fa la riparazione, noi non abbiamo niente da riparare”.
Come nasce il suo rapporto con De Laurentiis? “Otto anni fa mi chiama Andrea Chiavelli. Aveva visto i miei numeri a Carpi. E mi presenta al presidente. Ci siamo capiti al volo”.
Però dopo la sconfitta di Verona, il 24 gennaio 2021, voleva mandarla via insieme con Gattuso. “Nessuno me l’ha mai comunicato”.
Non ha sentito vacillare la sua fiducia? “Con Aurelio ho un rapporto di franchezza. Mi ha accettato come un figlio, sento la sua stima, le nostre famiglie sono vicine. Siamo un gruppo anche fuori dal lavoro. Poi è chiaro che vinci una partita e ti senti up, la perdi e vai in down. Fa parte di qualunque rapporto vero. Però anche nei momenti peggiori non mi sono mai mancati la sua stima e il suo rispetto”.
Vi chiariste quella volta? “Non ce n’è stato bisogno”.
Il Maradona strapieno vuol dire troppe aspettative? “Vuol dire che Napoli è contenta di veder giocare bene a pallone. Dopo otto anni la conosco, è una città di bocca buona, dai tempi di Vinicio. I tifosi sanno che questa è una squadra giovane e in fase di costruzione, può avere alti e bassi. Ma di sicuro farà divertire. Spalletti ha una varietà tattica che stupisce e non lesina mai lo spettacolo. L’ho detto, è un camaleonte. La città ha stretto con lui un patto sulla qualità. È un patto d’amore”.
Osimhen come sta? “Non ci sarà sabato, ma non dovrebbe essere uno strappo”. È troppo generoso? “Deve imparare a dominarsi. Ma ha visto come ha demolito il Liverpool in mezz’ora”?