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Napoli – Si sono recati nel carcere di Secondigliano, nella mattinata di oggi, il Garante campano dei diritti delle persone sottoposte a misura restrittiva della libertà personale, Samuele Ciambriello, e il Garante di Napoli, Pietro Ioia, per meglio appurare i motivi che hanno indotto un detenuto algerino di 33 anni, ieri, ad impiccarsi nella sua cella.

Dardou Gardon (questo è il suo nome), condannato per rapina, era giunto in Campania nel 2021, nel carcere di Benevento e lì è rimasto sino a mese di maggio, quando l’Amministrazione penitenziaria l’ha trasferito a Secondigliano. Già nell’Istituto di Benevento aveva tentato due volte di uccidersi, perché lontano dalla famiglia, che a suo dire viveva a Marsiglia e non vedeva dal suo ingresso in carcere. Il Garante campano, dopo avergli parlato al telefono per calmarlo e tranquillizzarlo, il 5 maggio, ha scritto al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, che non ha accolto la richiesta di trasferimento al Nord, mandandolo invece nel carcere di Secondigliano.

In Campania è il terzo suicidio in soli cinque giorni; la morte di martedì a Secondigliano si somma a quelle di un detenuto di Arienzo e di un detenuto di Poggioreale.

I Garanti dei detenuti Samuele Ciambriello e Pietro Ioia chiedo, a gran voce, che le parole messe nero su bianco nell’ultima circolare del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria per prevenire gli eventi suicidari diventino buone prassi negli istituti di pena e invitano il Capo del Dipartimento e il Ministro della Giustizia a visitare le carceri del circondario napoletano, Poggioreale in primis, l’Istituto più sovraffollato d’Italia, e a partecipare ad una tavola rotonda con magistrati di sorveglianza, Amministrazione penitenziaria, Garanti regionali e territoriali e Terzo settore.

Così il Garante campano Ciambriello: «È terribile ammettere che questa era una morte annunciata. Mi chiedo come mai non sia stata fatta un’osservazione più accurata, come mai non sia mai stato portato in una articolazione psichiatrica, come mai, nonostante le richieste del suo avvocato di fiducia, non sia mai stata fatta una perizia psichiatrica. Quella di Dardou è una storia di disperazione e di emarginazione. Si è trovato senza famiglia, senza nessuno su cui poter contare, senza soldi… Si è trovato isolato nel già gravoso e insopportabile isolamento del carcere. Era sotto custodia dello Stato e doveva essere lo Stato a preoccuparsi delle sue fragilità, del suo disagio, della sua salute. Se non ci sono legami affettivi forti, il carcere diviene un luogo insopportabile e anche una breve condanna viene vissuta come una condanna a vita. Mai più di adesso, per i detenuti devono essere messe in campo soluzioni differenti: più chiamate a case, misure alternative per chi ha da scontare pochi mesi o anni, una più celere concessione dei giorni per la liberazione anticipata. E, ancora, accogliere le istanze di trasferimento dei detenuti negli istituti di pena da loro richiesti, anche nel rispetto del principio di territorialità della pena. Questo può essere un primo timido passo verso un reale e concreto miglioramento del sistema penitenziario».