Tempo di lettura: 2 minuti
La Corte di Assise di Appello di Napoli (quinta sezione) non ha riconosciuto la sussistenza dell‘aggravante mafiosa nella sentenza di secondo grado sull’omicidio di Giulio Giaccio, il giovane ucciso il 30 luglio del 2000, a soli 26 anni, perché scambiato per l’amante della sorella di un camorrista legato al clan Polverino.
L’imputato Salvatore Cammarota è stato condannato a 16 anni (gli è stata concessa l’attenuante equivalente in relazione a un’offerta da lui fatta alla famiglia); pena a 30 anni di carcere confermata per Carlo Nappi mentre è stata ridotta quella inflitta a Roberto Perrone a cui sono stari comminati 8 anni (riconosciuto il concorso anomalo).
In primo grado i primi due sono stati condannati a 30 anni di carcere, mentre l’ultimo, il pentito, colui che ha rivelato la storia, a 14 anni.
Cammarota, che voleva vedere morto l’amante della sorella, per ben due volte ha offerto inutilmente un risarcimento alla famiglia Giaccio, l’ultima delle quale pari a circa 200mila euro. La prima volta venne offerta una casa, nell’ultima istanza la stessa abitazione con un’aggiunta di 80mila euro in contanti.
 
E’ una vergogna, questa non è giustizia, equivale ad ammettere che a Napoli non c’è stata e non c’è la camorra”. Usa parole dure l’avvocato Alessandro Motta, legale della famiglia di Giulio Giaccio, il giovane ucciso il 30 luglio del 2000, a soli 26 anni, perché scambiato per l’amante della sorella di un camorrista legato al clan Polverino. Oggi, la Corte di Assise di Appello di Napoli non ha riconosciuto la sussistenza dell’aggravante mafiosa e ha ridotto le pene emesse in primo grado per due dei tre imputati.
“Secondo i giudici – dice ancora l’avvocato Motta – l’omicidio di Giulio Giaccio non è un omicidio di camorra, né per modalità, né per finalità. Confidiamo nel ricorso in Cassazione annunciato dalla Procura Generale di Napoli che, da sempre, ha sostenuto i diritti di Giulio e dei suoi familiari”.
La famiglia, fa sapere ancora l’avvocato Alessandro Motta, non esclude una manifestazione pubblica di protesta contro questa decisione dei giudici partenopei.
Al termine della sua requisitoria anche il sostituto procuratore generale di Napoli Paola Correra aveva chiesto che venisse riconosciuta l’aggravante mafiosa.