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Napoli – Sono appesi “letteralmente” al filo della speranza i lavoratori Whirlpool dello stabilimento di Napoli Est. Tra 4 giorni la fabbrica di via Argine chiuderà i battenti e le domande senza riposta sono ancora tante.

Questa mattina l’area orientale di Napoli si è così risvegliata con un immagine choc. Alcuni fantocci si sono impiccati sui ponti della periferia napoletana. Non si tratta di un macabro scherzo in vista della festa dei morti ma del futuro di oltre 420 operai locali che oggi rischia di finire letteralmente sotto i cavalcavia della sesta municipalità di Napoli.

I lavoratori Whirlpool – spiegano – sono appesi ad un filo della speranza, perché la vita di ognuno di noi non finisca sotto un ponte”. Un filo lungo 18 mesi di lotta, senza sosta, per ribadire un diritto fondamentale, il lavoro. Diritto che se possiamo in un quartiere come Ponticelli dovrebbe ancor di più essere tutelato.

Ed invece la mala gestione della politica, unita alle demagogie di una scellerata multinazionale, fa sì che nel pieno di una pandemia si possano lasciare in strada oltre mille famiglie campane. Per un disastro sociale ed economico che rischia di divampare in un area già martoriata dai fenomeni criminali.

Dove oggi il futuro dei cittadini è appeso al filo dell’incertezza col pericolo dell’abbandonato delle politiche industriali dietro l’angolo. In un territorio nato proprio per far fiorire una viva area industriale nella città metropolitana di Napoli che oggi è abbandonato da imprese, e soprattutto dal Governo. 

Nonostante le tante promesse e gli accordi firmati da Whirlpool con il Governo italiano i lavoratori partenopei oggi si sentono “messi alla gogna” proprio come quei manichini che appaiono all’alba sulle strade di Napoli con un messaggio ben preciso “Napoli non molla”.

Non l’hanno fatto nei 18 mesi di battaglia, contro una decisione che col passar del tempo sembra sempre più discutibile, non lo faranno di certo dopo il 31 ottobre. Loro, gli operai Whirlpool, che più di una volta hanno ribadito di essere “L’Italia che resiste” perché la loro lotta oggi è necessariamente la battaglia di tutti i lavoratori del Paese che chiedono il rispetto dei loro diritti. In un momento, mai come questo, fortemente delicato per la crisi sanitaria che avanza in tutto il mondo.

Messi alla gogna da uno stato impotente e lasciati al addiaccio da un’azienda senza scrupoli” spiegano gli operai il gesto fortemente simbolico. Loro sono l’immagine di una resistenza contro l’abbandono dei nostri territori che purtroppo non è troppo spesso raccontata.

Nel mentre il tempo passa e da Roma sembrano non accorgersene. Tutto tace tra il ministero del Lavoro e quello dello Sviluppo Economico. Ma che “sviluppo” può avere questo Paese se nel pieno di una pandemia lascia a casa oltre mille operai, tra lo stabilimento di via Argine e gli indotti regionali, per piegarsi alla forza di una multinazionale americana che oggi abbandona il Mezzogiorno e domani, con l’autorevolezza di questo Parlamento, potrebbe tranquillamente lasciare l’intera Penisola.