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L’appuntamento è alle 10 ma meglio anticiparsi. Lo avevo fatto anche in occasione del mio primo incontro con Pfizer, che in un film tedesco anni ’80 risponderebbe al nome di uno di quei prof che più severi non si potrebbe. E invece è un vaccino (che precisazione inutile, sic) e in quanto vaccino ha il potere di unire chi ha una coscienza proiettata al bene comune.

Il caldo chiama un “Ape” da servire con ghiaccio, pure il venticello che si insinua tra le ringhiere si rivela ingannevole. I gazebo messi lì per fare ombra non rispondono ai bisogni di noi che siamo in fila ad aspettare che il numero proiettato sul display combaci con quello tra le nostre mani. L’attesa può essere snervante, avrebbe tutti i connotati per diventarlo, e invece tradisce se stessa.

Sarà che c’è sempre quella punta di magia in un’esperienza comune, ma la temperatura, in un baleno, diventa un lontano ricordo. Un dolore, una gioia, una speranza, un sollievo, un timore, fate voi. Tutto ciò che è condiviso da una comunità – grande o piccola che sia – dà modo al lato umano di sgomitare e farsi strada tra gli egoismi e le apparenze che popolano ormai le nostre vite.

Sconosciuti si interrogano tra loro sulle ansie per eventuali effetti collaterali, ragazzi parlano senza mai osservare il cellulare, guardandosi negli occhi. Due signore pensano al pranzo: “Dopo devo andare al supermercato, tu cosa mangi?”. Hanno l’aria di chi non si vedeva da tempo ma tutt’a un tratto si interessano dell’alimentazione altrui. “Anche tu qui per la seconda dose?”, mi chiede di soppiatto un uomo che mai avevo visto prima. “Sì, ma non so se me la faranno, considerato il numero di anticorpi”, gli dico poco prima di scoprire che si trova nella stessa situazione.

In lontananza due amici di vecchia data si scambiano convenevoli: “Ma che strano incontrarsi qui dopo due anni, fa piacere sapere che stai bene”, dice il primo. L’altro risponde allo stesso modo e gli dà appuntamento per un fantomatico caffè, uno di quelli che – lo dico per esperienza – vengono rimandati sempre alla ‘settimana prossima’ senza soluzione di continuità. “Se non ti rispondo vuol dire che sto lavorando, ma poi ti richiamo”. Sì, proprio così, “ti richiamo”. Non accadrà mai ma è bello sentirselo dire.

Per quanto mi riguarda, a proposito di richiamo, nulla di fatto. Pratica chiusa con una sola dose. “La copertura è già eccellente”, dice la dottoressa che firma velocemente il documento e mi rimanda allo sportello per l’accettazione. Quando mi allontano è un’illusione a coccolarmi: per mezz’ora, per miseri trenta minuti, ho vissuto in un utopico mondo perfetto. Un mondo in cui tutti si vogliono bene e pensano all’altro senza interessi personali.

Un miraggio, sì. Però che bel miraggio.