La stagione influenzale che ci stiamo lasciando alle spalle sarà ricordata in molti Paesi come una delle più intense degli ultimi anni. In Italia, certifica l’ultimo rapporto dell’Iss che ogni settimana monitora l’andamento delle infezioni stagionali, è stato toccato il numero record di 16.129.000, “mai raggiunto nelle precedenti stagioni influenzali“, superando un altro record, quello dello scorso anno, con circa un milione e mezzo di casi in più.
Un dato che smentisce le stime di inizio stagione quando si prevedeva un impatto minore.
Lo scorso anno, dopo un biennio in cui le misure di contrasto alla pandemia avevano spento la circolazione dei virus influenzali e di quelli respiratori in generale, un po’ ovunque si era osservata una stagione molto intensa. Per questo in molti prevedevano per quest’anno un rallentamento. Non è stato così.
Negli Stati Uniti già in pieno inverno c’era chi parlava della peggior stagione influenzale da decenni. Le stime elaborate a fine aprile dai Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) sembrano confermarlo: si contano tra le 47 e gli 82 milioni di persone colpite; tra 610mila e 1,3 milioni di ricoveri e tra 26mila e 130mila morti. Tra questi sono già confermati almeno 216 minori.
Nei giorni scorsi l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) ha confermato che anche nell’Unione Europea e nello Spazio Economico Europeo quella 2024/2025 è stata “una stagione influenzale intensa”.
Secondo Gianni Rezza, professore straordinario di Igiene all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, a giustificare i numeri record di quest’anno è soprattutto il mix di virus che sono circolati.
“Lo scorso anno ci siamo confrontati soprattutto con virus dell’influenza A del tipo H1, responsabile di circa il 90% dei casi“, spiega. “Quest’anno non c’è stato un ceppo così dominante; un terzo dei casi è stato causato da virus influenzali A/H1, un terzo da virus A/H3 e un terzo da virus influenzali di tipo B. Ciò significa che un’ampia fetta della popolazione era suscettibile a questi agenti”, prosegue. A questi, poi, si aggiungono gli altri virus respiratori che circolano in inverno il cui impatto complessivo è maggiore dei virus influenzali. “Due su tutti hanno svolto un ruolo importante: il rhinovirus e il virus respiratorio sinciziale”, conclude Rezza.
Un dato che smentisce le stime di inizio stagione quando si prevedeva un impatto minore.
Lo scorso anno, dopo un biennio in cui le misure di contrasto alla pandemia avevano spento la circolazione dei virus influenzali e di quelli respiratori in generale, un po’ ovunque si era osservata una stagione molto intensa. Per questo in molti prevedevano per quest’anno un rallentamento. Non è stato così.
Negli Stati Uniti già in pieno inverno c’era chi parlava della peggior stagione influenzale da decenni. Le stime elaborate a fine aprile dai Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) sembrano confermarlo: si contano tra le 47 e gli 82 milioni di persone colpite; tra 610mila e 1,3 milioni di ricoveri e tra 26mila e 130mila morti. Tra questi sono già confermati almeno 216 minori.
Nei giorni scorsi l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) ha confermato che anche nell’Unione Europea e nello Spazio Economico Europeo quella 2024/2025 è stata “una stagione influenzale intensa”.
Secondo Gianni Rezza, professore straordinario di Igiene all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, a giustificare i numeri record di quest’anno è soprattutto il mix di virus che sono circolati.
“Lo scorso anno ci siamo confrontati soprattutto con virus dell’influenza A del tipo H1, responsabile di circa il 90% dei casi“, spiega. “Quest’anno non c’è stato un ceppo così dominante; un terzo dei casi è stato causato da virus influenzali A/H1, un terzo da virus A/H3 e un terzo da virus influenzali di tipo B. Ciò significa che un’ampia fetta della popolazione era suscettibile a questi agenti”, prosegue. A questi, poi, si aggiungono gli altri virus respiratori che circolano in inverno il cui impatto complessivo è maggiore dei virus influenzali. “Due su tutti hanno svolto un ruolo importante: il rhinovirus e il virus respiratorio sinciziale”, conclude Rezza.