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La notizia di oggi è certamente l’emendamento alla manovra che alza a 600 euro le pensioni minime per gli over 75. Un compromesso, che tiene conto delle poche risorse disponibili, rispetto alla proposta elettorale, supportata soprattutto da Forza Italia e da Silvio Berlusconi, di portarle a mille euro per tutti. Forse, non ci si arriverà mai. Ma la maggioranza e il governo hanno voluto fare un primo passo, simbolico, in quella direzione.

Le novità. Nella manovra all’esame del Parlamento è previsto che le pensioni minime aumentino della quota necessaria ad assorbire l’aumento dell’inflazione, fissata per il 2023 al 7,3%: dal 1 gennaio saliranno dagli attuali 525,38 a 563,73 euro mensili, per un totale annuo che aumenterà da 6.829,94 a 7.328,49 euro. Gli assegni pensionistici e assistenziali che non superano il minimo, in via eccezionale e con decorrenza 1 gennaio 2023, riceveranno un ulteriore aumento di 1,5% nel 2023 e del 2,7% nel 2024. Se venisse approvato l’emendamento, per gli over 75 l’aumento arriverebbe a 600 euro.

Le pensioni minime sono nate, nel 1983, con l’obiettivo di garantire una soglia considerata sufficiente per condurre una vita dignitosa. L’importo, che oggi non è evidentemente sufficiente, viene rivalutato ogni anno sulla base del tasso di inflazione fissato dall’Istat.

Secondo i dati dell’Inps, vengono percepite da circa 2,5 milioni di pensionati. Non sono legate agli anni di contributi versati. A prescindere dall’anzianità contributiva di 10, 15 o 20 anni, infatti, l’integrazione al minimo spetta a tutti i titolari di pensione, se non si raggiungono i valori minimi fissati dalla legge.