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Sono quattro i vaccini contro il Covid-19 sviluppati in tempi record a Cuba e giunti in fase 3 di sperimentazione.

La particolarità è che si tratta di vaccini finanziati al 100% dallo Stato e che una volta approvati saranno distribuiti gratuitamente alla popolazione. Inoltre il governo Cubano ha già fatto sapere che, nel momento in cui sarà chiusa la fase di sperimentazione, i vaccini saranno distribuiti anche Paesi economicamente più fragili.

In Europa, negli Stati Uniti e praticamente in tutto il resto del mondo, le cose sono andate e stanno andando in maniera diametralmente opposta. In sostanza il libero mercato dei vaccini contro il coronavirus funziona esattamente come tutto il resto. C’è una domanda, c’è un’offerta e il prezzo di mercato – a grandi linee – viene definito da questi due parametri.

Le grandi case farmaceutiche che per prime hanno sviluppato il vaccino (Pfizer, Moderna, Astrazeneca, per restare alla tipologia di vaccini che saranno distribuiti in Europa), hanno definito accordi commerciali con i Paesi richiedenti. E, come ogni accordo commerciale, vi è un margine di profitto per l’azienda produttrice. Tutto legittimo per carità. In un sistema regolato dal libero scambio le cose funzionano in questo modo. E’ la normalità.

Però, quella che il mondo vive da più di un anno, non è affatto una situazione normale. E senza evocare richiami storici a forme di ‘socializzazione della produzione’, forse sarebbe stato il caso di prendere in considerazione un paradigma diverso. E non solo per una questione, come dire, di ordine etico, ma soprattutto di ordine economico e finanche logistico.

Quanto spende l’Europa per l’acquisto delle centinaia di milioni di dose necessarie alla campagna vaccinale? Qualche decina di miliardi di euro.

E quanto ci costano in termini complessivi i ritardi nelle forniture ai quali stiamo quotidianamente assistendo? Un prezzo non quantificabile

Ecco, forse l’idea di un investimento massiccio nello sviluppo di un vaccino europeo completamente finanziato dai governi nazionali, non sarebbe stata un attentato al primato del libero mercato. Sarebbe stata invero un’operazione potenzialmente vantaggiosa sul piano economico, verosimilmente meglio gestibile sul piano logistico, di sicuro fondamentale nella definizione di un’identità europea non più soggetta a piccoli egoismi nazionali. 

Ma la storia, come sappiamo, è andata diversamente. Nel frattempo da Cuba arriva una grande lezione di solidarietà e condivisione. Sintetizzabile più o meno così: la salute non può essere oggetto di lucro.

(Fonte foto: Il Messaggero)