Una ragazzina di 13 anni, una passerella, un sogno dichiarato a voce alta. E poi, il web. Si potrebbe riassumere così la vicenda che, da Pompei, ha innescato un dibattito nazionale, mettendo a nudo una linea di faglia che attraversa la nostra società.
Da un lato, c’è la storia di una giovanissima che, con il sostegno della sua famiglia, decide di partecipare a una selezione di Miss Italia come “Mascotte“. Sul palco si descrive come “determinata e piena di sogni”, con l’ambizione di fare la modella. Per lei e per i suoi cari, un passo verso un’aspirazione, un momento di espressione personale.
Dall’altro lato, c’è lo sguardo del mondo adulto. Un video diventa virale e la giornalista Selvaggia Lucarelli accende i riflettori su quella che definisce una “sessualizzazione” precoce. La sua critica fa eco a una preoccupazione diffusa sulla tutela dei minori in contesti competitivi e mediatici.
La risposta della patron di Miss Italia non si è fatta attendere. “L’organizzatore – si legge nella nota ufficiale di Patrizia Mirigliani – ha consentito nei giorni scorsi la sfilata in passerella, come ‘Mascotte’, ad una ragazza di 13 anni, trasgredendo il regolamento. La figura di “Mascotte”, introdotta molti anni fa, è limitata alle ragazze di 17 anni. La partecipazione al Concorso vero è proprio va dai 18 a 30 anni. È incredibile l’errore compiuto”.
Poi la decisione: via dall’organizzazione l’esclusivista regionale della Campania per il concorso, Antonio Contaldo, impegnato da molti anni nel ruolo. Una mossa per difendere il regolamento e l’immagine del marchio.
La famiglia, però, non ci sta: “A volte gli occhi che vedono il problema sono proprio quelli che lo alimentano” scrive sui social il cugino, Carmine Di Martino, rispondendo a Lucarelli. “Vorrei chiarire che si è trattato di un evento pensato per valorizzare la creatività e l’autostima dei più giovani, non certo per esporli a giudizi adulti o a sessualizzazione.
La partecipazione è stata scelta con consapevolezza e con il pieno sostegno della sua famiglia. Nessuno ha imposto nulla, né l’evento è stato pensato in modo inappropriato.
Capisco le sue preoccupazioni sul tema, ma invito a non trasformare ogni occasione d’espressione giovanile in un atto sbagliato – dice -. Mia cugina è una bambina piena di talento e sogni. Ridurre la sua esperienza a uno slogan su “bambine sessualizzate” non le rende giustizia”.
Una vicenda che diventa un interrogativo aperto: dove finisce il sostegno a un sogno e dove inizia un’esposizione rischiosa? Chi ha il diritto di tracciare quel confine? E, soprattutto, il giudizio pubblico è parte della soluzione o del problema?