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Il principio della “Libera Chiesa in libero Stato” è noto in Occidente da almeno due secoli. Almeno nella sua formulazione usuale che si deve al francese Charles de Montalembert. L’espressione venne poi ripresa da Camillo Benso di Cavour e fu utilizzata in occasione del suo primo intervento al parlamento, fatto dopo la proclamazione del Regno d’Italia, il 17 marzo 1861.

Che cosa si voglia significare con questo principio appare fin troppo evidente: una concezione tipicamente liberale dei rapporti tra la religione e le istituzioni, nella quale la prima è pienamente autorizzata a svolgere il proprio ruolo all’interno della società – in modi e forme opportune – mentre le seconde sono chiamate a scegliere e legiferare senza nessun ingerenza dell’istituzione religiosa. 

Che si debba ancora tirare in ballo questo principio nell’ A.D. 2021 risulta in effetti strano. Ma tant’è. L’intervento del Vaticano che esprimeva “forte preoccupazione” per alcuni elementi della Legge Zan, ha riportato in auge il dibattito sui rapporti tra Stato e Chiesa.

Si badi bene, un dibattito che in tutti gli altri paesi d’Occidente sembrerebbe palesemente surreale, ma che in Italia assume toni finanche seriosi. Ne viene coinvolto addirittura il Presidente del Consiglio Draghi, che – anche timidamente in verità – ha dovuto sottolineare in Parlamento come le istituzioni repubblicane siano assolutamente laiche. 

Per onor del vero la discussione sembra andare spegnendosi. E anche il Vaticano ha compreso che forse, stavolta, il richiamo a un Paese sovrano è andato troppo oltre (simpatico il fatto che i soli a non accorgersene siano proprio i cosiddetti ‘sovranisti’).

Ma al netto di tutto, non si può non porre una domanda: se il Vaticano ha gli occhi così aperti su possibili limitazioni della libertà di espressione (che per la Legge Zan sono davvero tutte da dimostrare) davvero non ha nulla da dire su quanto sta accadendo nella ‘sovranissima’ Ungheria?