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Saluto mamma, chiudo la porta e scendo. Chissà se la 600 partirà, ogni volta fa come le pare. L’ultima mi ha lasciato addirittura a piedi. Festeggiavamo il mio compleanno nell’ultimo giorno di vita vera. Un’ironica casualità, una torta dal sapore di beffa. Per non parlare del desiderio espresso spegnendo le candeline: tutto vano. 

Ciò che è successo dopo ha i connotati di un incubo. Il virus si è preso le nostre vite, le ha trapassate come uno spirito. Privato della mia libertà, ho brancolato nel buio per giorni alla ricerca di certezze, ma ogni ora che passava ne avevo una in meno. I film mi hanno stancato dopo neanche un mese, e pure quell’abitudine di fare la pizza non è che mi abbia preso più di tanto. A impastare ci ho provato una volta, poi basta, ho poca pazienza per certe cose.

A ventitré anni tra stare dentro e uscire c’è una netta differenza. Non pretendo che gli adulti lo capiscano, ma io e i miei coetanei abbiamo fatto uno sforzo ulteriore a rimanere chiusi in casa, ad abbandonare soprattutto l’amata routine del weekend. In questi mesi ho dimenticato il volto dei miei amici, gli ultimi ricordi nitidi appartenevano a un’epoca che non c’è più.

“La prima cosa a cambiare – leggevo e ascoltavo – sarà la movida”. E infatti in Campania non è consentito bere alcolici in luoghi pubblici dopo le ore 22. Niente di cui meravigliarsi, succede sempre così. Si parla di sostegno ai giovani ma poi non si fidano di noi neppure sulle cose più banali. Quando ho visto i vicoli affollati ho pensato a un passo indietro, più che a due in avanti.

Il piacere di bere una birra in compagnia si è scontrato con l’angoscia di vivere uno scenario inatteso. Tanti ragazzi accalcati per un’ordinazione, assembramenti inevitabili, tutto secondo la legge. Nessuna regola infranta, se non quella del distanziamento sociale. Ma in questo caso non esistono colpevoli: ordinare e consumare sul posto è ciò che ci viene chiesto, niente di illecito. Come fai a dire a dei ragazzi di non fare la fila? In base a cosa scegli chi può e chi non può?

Sorridiamo, sappiamo già che domani, guardando le foto dei paparazzi improvvisati, se la prenderanno con noi, deboli protagonisti di pellicole ormai consumate. E’ vero, alcuni si ribellano alle convenzioni, violano le regole, ma rappresentano una minoranza. D’altronde gli stupidi esistono anche tra i grandi, tra quelli che dovrebbero darci l’esempio. Difficile da capire per loro, difficile avere vent’anni.

Finiamo di bere, ci perdiamo nei discorsi. L’università, gli esami via web, Fortnite, il calcio che tornerà, forse. Ci accorgiamo che non tutto è cambiato, che guardarsi negli occhi è una cosa meravigliosa nonostante la mascherina. Ci penso anche quando incrocio le dita tornando alla macchina, che dopo una serie di riti propiziatori riparte senza affanni. Rientro in casa facendo silenzio per non svegliare nessuno, poi invio l’ultimo messaggio su whatsapp: “Grande serata raga, a domani”. Bella frase, a domani. Allora provo a chiudere gli occhi, sperando di sognare un nuovo inizio.  

*Tratto da una storia vera