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Ha divelto la gabbia elettrosaldata che lo teneva prigioniero, se n’è infischiato del radocollare ed è scappato per la seconda volta. “Papillon”, l’orso trentino divenuto famoso nei mesi scorsi per la sua lunga latitanza, lo ha fatto di nuovo. Ha beffato gli addetti alla sicurezza, i sistemi tecnologici e pure il pensare comune. “Ora che è stato castrato è più mansueto, non andrà via”, dicevano gli esperti che lo tenevano d’occhio minuto per minuto presso il recinto del Casteller, una delle colline che circondano Trento. 

Glielo ha fatto credere, ci piace pensarla così. Ha architettato in silenzio il suo famelico piano per circa tre mesi, ha atteso il momento giusto e si è dato alla fuga. Troppo forte la sua voglia di libertà per continuare a vivere in una gabbia. La prima ‘furbata’ era durata ben 289 giorni, circa dieci mesi. Fu ricatturato nell’aprile scorso, in pieno lockdown, ma evidentemente non si è mai arreso. 

La notizia della nuova fuga è stata accolta quasi col sorriso dal Ministro dell’Ambiente Sergio Costa, che è anche l’ideatore del suo soprannome. “Come volevasi dimostrare il soprannome del fuggiasco francese Henri Charrière è il migliore che potevamo scegliere per lui”, ha scritto su facebook negli stessi istanti in cui il presidente della Provincia di Trento, Maurizio Fugatti, si stava mangiando le mani per il grave danno d’immagine rimediato.

Proprio il Ministro potrebbe essere un alleato decisivo dell’orso: “La mia posizione rimane la stessa: ogni animale deve essere libero di vivere in base alla sua natura. Papillon ha il radiocollare e quindi rintracciabile e monitorabile facilmente: non ha mai fatto male a nessuno, solo danni materiali facilmente rimborsabili. Chiediamo che non venga rinchiuso e assolutamente non abbattuto”. Per poi concludere con un imperativo: “Papillon deve vivere!”. Chi spinge per l’abbattimento dovrà farsene una ragione.

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