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Mentre il Paese respirava aria di ripartenza (sperando di non confonderla con quella di libertà), il calcio viveva ieri la sua ennesima giornata interlocutoria. Il futuro della palla di cuoio resta ancora incerto e nessuno continua a prendersi la briga di assumersi le responsabilità della decisione. E’ diventato un gioco al rimando ma intanto il tempo scorre, di carne a cuocere ce n’è parecchia e il rischio (concreto) è di ritrovarsi davanti una montagna di cenere anziché un succulenta bistecca.

Dopo tante divergenze la Figc almeno una posizione l’ha presa. Per Gravina bisogna tornare in campo, a costo anche di condizionare la prossima stagione rimodulando le tradizioni del calcio tricolore. Non si può rinunciare ai soldi delle televisioni, una liquidità troppo importante per foraggiare le casse esigue di molte società. “Non sarò io il becchino del calcio italiano”, lo slogan varato dal presidente federale è chiaro. Se stop dovrà essere, sarà dunque il Governo a imporlo.

E qui inizia un’altra storia di liti e contraddizioni che ci riporta alla giornata simbolo di ieri. Si parte dal mattino, quando su Repubblica viene pubblicata un’indiscrezione riguardante Giuseppe Conte. Il Premier avrebbe deciso e “mercoledì potrebbe annunciare lo stop dei campionati“. Cala uno strato di leggera brezza, una brina mattutina riscaldata poi dal ‘sole‘ del Viminale e dalle ordinanze regionali.

Dal Ministero dell’Interno arriva l’atteso via il libera. “E’ consentita l’attività sportiva individuale, in aree pubbliche o private, nel rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno due metri e rispettando il divieto di ogni forma di assembramento“, è parte della circolare inviata ai Prefetti con in calce la firma di Luciana Lamorgese.

Tutto chiarito insomma! Tanto che alla spicciolata giungono anche le ordinanze regionali, perfino quella di Vincenzo De Luca, uno dei Governatori più agguerriti e combattivi in tempi di coronavirus. Il presidente della Campania, convinto dalle proposte di Aurelio De Laurentiis, avalla le decisioni concedendo il proprio bene placido a patto che si rispettino alcune regole (dai tamponi, alle docce passando per il distanziamento).

La domenica sembra volgere al meglio. Il tifoso, tra la voglia di una passeggiata e il dubbio su quale congiunto andare a trovare per primo, inizia a nutrire la speranza di una ripartenza, ignaro che all’orizzonte si annidino nubi temporalesche. A trascinarle è il vento di facebook. Esatto, non uno strumento istituzionale ma il più classico dei social network. Passerebbe tutto in sordina se il post in questione non arrivasse dal ministro Spadafora: “Leggo cose strane in giro ma nulla è cambiato rispetto a quanto ho sempre detto sul Calcio: gli allenamenti delle squadre non riprenderanno prima del 18 maggio e della ripresa del Campionato per ora non se ne parla proprio. Ora scusate ma torno ad occuparmi di tutti gli altri sport e dei centri sportivi (palestre, centri danza, piscine, ecc) che devono riaprire al più presto!“.

La mano destra non sa quello che fa la sinistra, segno evidente di una profonda spaccatura sulla questione calciofila. La scena riporta alla mente un famoso spot pubblicitario, con Spadafora che si affaccia alla finestra (del proprio pc) esclamando “e mo vo buco sto pallone“. Lo buchi pure, l’importante è che prenda una posizione perché un pizzico di chiarezza non guasterebbe. Qualcuno, insomma, ci dica cosa bisogna fare perché adesso ci avete rotto il calcio!