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A partire da lunedì 8 marzo la Campania tornerà a essere zona rossa. La decisione è stata presa dal Ministro Speranza in seguito alla segnalazione/richiesta della stessa Unità di Crisi della Regione Campania.

A ben guardare, però, l’indice di contagio in Campania – il cosiddetto Rt – è inferiore a regioni che sono classificate con un livello di rischio più basso. Perché accade cio? Se lo sono chiesti in molti e noi proviamo a offrire qualche risposta.

In primo luogo perché la classificazione del rischio è dettata da diversi fattori, e l’indice Rt è solo uno di questi. Restando a questo fattore la Campania non dovrebbe rientrare in zona rossa:

Abruzzo, 0,96 
Basilicata, 1.16 
Calabria, 0.81 
Campania, 0.96 
Emilia Romagna, 1.13 
Friuli Venezia Giulia, 0.92 
Lazio, 0.98 
Liguria, 0.96 
Lombardia, 1.13 
Marche, 1.08 
Molise, 1.66 
Piemonte, 1.15 
Provincia autonoma Bolzano, 0.75 
Provincia autonoma Trento, 1.1 
Puglia, 0.93 
Sardegna, 0.67 
Sicilia, 0.79 
Toscana, 1.18 
Umbria, 0.79 
Valle d’Aosta, 1.21 
Veneto, 1.08 

In effetti alcuni Regioni, ad esempio il Lazio, pur avendo un indice Rt maggiore restano in zona gialla. 

Il punto è che le risultanti sui dati dell’Rt si riferiscono a due settimane fa, quando si era in un’altra fase del contagio. In questo senso è di poco valore guardare all’Rt come valore assoluto scollato dall’interazione con altri dati.

Come si ricorderà il 26 febbraio scorso la Campania era stata classificata “con rischio moderato ad alta probabilità di progressione”, quello che tecnicamente definisce la zona arancione. La fascia di rischio arancione è quella che ‘impone’ di valutare una escalation e di intervenire con provvedimenti straordinari localizzati. In questo senso andava la scelta di De Luca di chiudere gli istituti scolastici o le zone rosse dichiarate in diversi comuni della Regione.

Con il nuovo Report lo stato di rischio della Campania diventa “alto con molteplici allerte di resilienza”. Una situazione che giustifica la zona rossa, insomma, contrariamente a quanto risulta dall’Rt. L’aumento esponenziale dei nuovi casi quotidiani, i casi attualmente positivi e i casi in isolamento domiciliare obbligatorio, sono tra gli elementi che ci hanno fatto precipitare in zona rossa.

La Campania, secondo la consueta analisi fornita da ‘Gimbe’, è la prima regione per numero di positivi attivi. In questo dato rientrano i ricoverati in terapia intensiva, quelli con sintomi e gli ammalati in isolamento domiciliare in isolamento domiciliare. Nella settimana precedente, quella che va tra il 24 febbraio e il 2 marzo, in Campania i casi sono aumentati del 47% rispetto al periodo precedente. Quello che spaventa, insomma, è il trend. E questo vale soprattutto per l’occupazione di posti in ospedale. Oggi la situazione non è drammatica, ma c’è bisogno di guardare – come purtroppo abbiamo imparato a fare dopo un anno di pandemia – i fatti in prospettiva. Senza l’adozione di misure ferree oggi, il rischio è di trovarsi tra qualche settimana in una situazione di saturazione. In questo senso la richiesta dell’Unità di Crisi appare fondata sulla necessità di intervenire prima che la situazione possa precipitare. Insomma, è chiaro oltre che legittimo che la scelta di dichiarare la Campania zona rossa sia il combinato disposto di valutazioni tecniche e politiche. 

Altro discorso invece è quello relativo alla complessità territoriale della Regione. In effetti la situazione epidemiologica non è uniforme su tutto il territorio regionale. Banalmente: la situazione nelle aree metropolitane non è neanche lontanamente paragonabile a quella nelle aree interne. Probabilmente si poteva articolare un ragionamento di differenziazione territoriale mantenendo la zona arancione (di fatto un arancione scuro data la già decisa chiusura delle scuole) in modo da non ‘incidere’ troppo in territori in grado ancora di reggere, e adottare zone rosse lì dove la situazione è oggettivamente più complicata.