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Centocinquantasei. Sono i voti con cui il Senato ha confermato ieri sera la fiducia a Giuseppe Conte e al suo Governo.  L’esperienza a palazzo Chigi dell’avvocato originario di Volturara Appula, dunque, proseguirà. Come e per quanto lo vedremo. D’altronde proprio questi interrogativi, con ogni probabilità, saranno al centro del confronto, atteso questa mattina, tra il presidente del Consiglio e il Capo dello Stato.

Inverosimile, oggi, qualsiasi altro scenario. Perché è vero: il Conte 2 ha mancato la maggioranza assoluta di palazzo Madama ma ha ottenuto quella relativa. E tanto gli basta per andare avanti. Lo dice la storia della nostra Repubblica che di governi ‘di minoranza’ ne ha conosciuti diversi in passato.

Un lungo elenco di precedenti inaugurato da uno dei padri nobili della Costituzione, Alcide De Gasperi. Il primo segretario della Democrazia Cristiana per ben due volte (nel ’47 e nel ’51) ha guidato un esecutivo privo del consenso assoluto delle Camere.

Destino comune ad altri ‘premier’ della Balena Bianca: da Fanfani a Leone fino ad Andreotti. Roba da prima Repubblica, si dirà. Errore. La seconda nasce proprio così: con un governo di minoranza. Nel 1994, il battesimo a palazzo Chigi di Silvio Berlusconi non è accompagnato dalla benedizione della Camera ‘alta’: solo 159 i senatori che votano la fiducia al Cavaliere (e tra questi tre senatori a vita: Agnelli, Cossiga e Leone).

Non va meglio al suo successore Lamberto Dini che si insedia in piazza Colonna senza il favore assoluto dei deputati (302 ‘sì’ e ben 270 astensioni). Infine, Massimo D’Alema. Il suo ‘bis’, nel 1999, non scalda i cuori di Montecitorio dove solo 310 deputati gli accordano la fiducia. E infatti il presidente del Pds resterà ancora n carica per scarsi quattro mesi.

E a ben vedere è questo il tabu che Conte dovrà sfatare. Dinanzi a lui la strada non sembra né lunga né diritta.