- Pubblicità -
Tempo di lettura: 4 minuti

NAPOLI – In questi casi, si dice che se ne va sbattendo la porta. O stracciando la tessera. Vanno bene entrambe le immagini per l’addio del professor Marco Plutino al Partito Democratico.

Questa mattina, lo stimato docente di diritto costituzionale all’Università di Cassino, nonché editorialista di punta dell’Huffington Post e del Riformista, ha annunciato che non rinnoverà l’iscrizione al partito in una lunga lettera aperta indirizzata al segretario Enrico Letta e postata sul suo profilo Facebook. 

Perchè Plutino, dopo otto anni, pone fine alla sua militanza nel Pd?

Essenzialmente, perchè, a suo avviso, la dirigenza nazionale si sta dimostrando troppo debole nei confronti di De Luca, che pure avrebbe la stessa tessera di partito di Plutino e Letta in tasca, ma agisce da battitore libero, per utilizzare un eufemismo.

Ma c’è anche molto di più: il j’accuse di Plutino getta un’ombra soprattutto sulle fulminea carriera politica e accademica del figlio del Governatore, Piero. Il quale, alla sua prima esperienza da parlamentare, è stato eletto vice capogruppo dei deputati dem. Ma, soprattutto, secondo Plutino, ha conquistato i gradi di professore associato “nell’università a cui ho dato i miei anni più belli e quasi tutto il mio tempo e la mia intelligenza negli ultimi ventuno anni” evidentemente troppo presto.

Questi sono i passaggi più significativi dell’addio destinato a far discutere:

“Caro Segretario, caro Enrico Letta, ho deciso di non rinnovare la tessera del Partito Democratico e di sospendere da subito le mie attività di militante. Ho preso questa decisione ieri, dopo un periodo di grande travaglio interiore, incrociando lo sguardo limpido di David Sassoli che ha occupato la mia bacheca per tutta la giornata”. 
 
“Sono giorni nei quali il Presidente della Regione Campania, un alto dirigente del nostro partito, si fa beffe del Presidente del Consiglio, un uomo stimato in tutto il mondo e guida di un governo che hai riconosciuto nostro”.
 
“Sono giorni in cui, sul piano personale, apprendo che il figlio maggiore del Presidente della Campania ha preso servizio come Professore associato nell’università a cui ho dato i miei anni più belli e quasi tutto il mio tempo e la mia intelligenza negli ultimi ventuno anni: prima di me – che sono diventato ricercatore sette anni prima di lui, ho conseguito l’abilitazione in tornate precedenti e non mi sono mai risparmiato – e senza aver mai frequentato l’università, effettuato didattica, con un profilo scientifico che è finito all’attenzione della stampa“.
 
“Per me esistono questioni di etica pubblica che precedono ogni altra valutazione e costituiscono la mia stella polare. Se oggi la politica è tanto debole è perché non sa porre argini alle tendenze degenerative, non sa più progettare in modo sistematico percorsi virtuosi, non si occupa se non sporadicamente di selezionare. Per convenienza o quieto vivere si accetta ciò che non è accettabile”.
 
Mai nella storia d’Italia era accaduto che padre e figlio sedessero insieme nel parlamento in seduta comune che eleggerà il prossimo Capo dello Stato; mai che ricoprissero posti di notevole rilievo politico nell’organizzazione repubblicana (Presidente di regione e parlamentare), neanche con la famiglia Gava; mai nella storia di un partito strutturato come il nostro e nei suoi progenitori un parlamentare alla prima legislatura era divenuto vice-capogruppo senza alcuna pregressa esperienza non dico parlamentare, ma neanche politica; mai si è visto un Presidente di Regione fare campagna elettorale contro il proprio partito, creare e alimentare partiti strutturati concorrenti, sostenere candidati antagonisti addirittura tramite un segretario regionale, come è avvenuto alle ultime elezioni di Benevento, o rallegrarsi del magro risultato del Partito democratico, come è avvenuto alle ultime elezioni napoletane. Un Presidente che invita i cittadini a non dare ascolto al governo e alle forze dell’ordine a dare ascolto alle proprie decisioni, e che impugna temerariamente provvedimenti del governo”.
 
“Qui siamo al malcostume politico. Al degrado. Ad un modo di fare politica ben diverso da quello che ho appreso negli anni della gioventù. E che purtroppo esprime in modo plastico la mancanza di attenzione che il partito da decenni riserva al Mezzogiorno e alla formazione e selezione delle sue classi dirigenti, lasciate a dinamiche autoreferenziali, che portano il partito molto sotto la media nazionale”.
 
“Senza affrontare come segreteria nazionale e gruppo dirigente, questi nodi, con parole nette e decisioni risolute, mettendo da parte le convenienze e i calcoli, ci saranno sempre meno giovani (lo dico io, che non lo sono più) preparati, competenti e appassionati nel nostro partito”.
 
Non riesco più a tollerare questa mortificazione del senso autentico della militanza e dell’impegno e non ho più voglia di rendermi corresponsabile, neanche mediante l’esercizio di una funzione critica, di un modo di fare politica e stare in società che non offre né lo stile né le risposte che la cittadinanza merita e attende”.